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03/05/2016 06:20:00

Massimo Russo: "Calcara? Non ha fatto mai parte di Cosa Nostra"

Uno dei casi di questi ultimi anni che ha fatto maggiormente discutere sulla credibilità o meno dei pentiti o collaboratori di giustizia italiani è quello di Vincenzo Calcara. Nato a Castelvetrano, appartenente all’organizzazione criminale “Cosa Nostra”, condannato a 14 anni di carcere per omicidio, riuscì a fuggire in Germania per non scontare la pena. Nel maggio del 1991, secondo le sue dichiarazioni, fu incaricato di uccidere il giudice Paolo Borsellino, ma non lo fece. Fu arrestato nel novembre dello stesso anno e iniziò la sua collaborazione proprio con il giudice, allora Procuratore a Marsala, al quale raccontò dell’attentato che doveva eseguire nei suoi confronti.  I dubbi sulla credibilità di Calcara in questi anni sono giunti anche dai più stretti collaboratori dello stesso Borsellino, come il pm Massimo Russo che di recente nel corso di un convegno pubblico ha detto: “Calcara è stato ritenuto da altri collaboratori di giustizia assolutamente non credibile, e preliminarmente non appartenente alla organizzazione mafiosa”. Russo e il giudice Alessandra Camassa, allora collega di Borsellino a Marsala e nominata da poco nuovo Presidente del Tribunale lilibetano, su Calcara hanno risposto in qualità di testi nel processo Borsellino Quater. La Camassa in udienza, il 20 maggio del 2014, ha ricordato che la notizia di un attentato sulla Trapani-Palermo con obiettivo Paolo Borsellino e un altro sostituto procuratore fu autonoma e precedente alla rivelazione di Calcara.

“Arrivava da “Radio Carcere” - disse la Camassa -, e la portò per primo il maresciallo Canale o comunque fonti della polizia giudiziaria”. Sui rapporti con gli altri mafiosi, la Camassa a proposito di Calcara ha detto che parlava dei fratelli Accardo di Partanna, ma che poi vedendoli in fotografia non aveva le idee molto chiare nel riconoscerli. Invece, di Matteo Messina Denaro non ne ha mai parlato.
Altra cosa importante dichiarata da Massimo Russo sempre nell’udienza del Processo Borsellino Quater, è che, lo stesso magistrato ha rinviato a giudizio Calcara per auto calunnia “per essersi accusato di far parte di cosa nostra”, il processo finì perchè il reato fu prescritto, ma non con l’assoluzione del Calcara. Russo, per quanto riguarda il periodo sulla rivelazione dell’attentato a Borsellino, considera come prima notizia dell’attentato quella che portò Calcara nel 1991, ma si sofferma sul fatto che i veri collaboranti vennero dopo. Insomma, secondo Russo, Calcara pur avendo portato questa notizia all’epoca non era comunque affidabile a differenza dei collaboratori che arrivarono in un secondo momento, come Zichittella, Patti o Sinacori.

Secondo Massimo Russo, dunque, Vincenzo Calcara non ha mai fatto parte di “Cosa Nostra”. Il pubblico ministero del dipartimento distrettuale antimafia, ricorda anche lui come la Camassa, che Calcara non non parlò mai di Matteo Messina Denaro e che mafiosi del calibro di Brusca e Sinacori non lo hanno mai considerato come mafioso. Per capire bene la tesi sostenuta da Russo, bisogna leggere alcuni stralci della sentenza di Caltanissetta al processo per l’omicidio del giudice Ciaccio Montalto, con riferimento ai collaboratori e nello specifico a Vincenzo Calcara, (Udienza del 15.11.1997).  Di seguito una pubblicazione dal blog di Ettore Marini :

“Rientrato in Italia per estradizione nel marzo del 1986, essendo divenuta definitiva la sua condanna per l’omicidio TILOTTA summenzionato, era stato detenuto sino al 1990, allorché si era reso latitante approfittando di un permesso che gli era stato concesso. Aveva trascorso la sua latitanza sino alla fine del 1991 tra Torino, Ostia e la Germania, incontrando in questo periodo più volte MESSINA Antonio, da lui indicato come personaggio di spicco della “famiglia” di Campobello di Mazara e dal quale avrebbe ricevuto varie confidenze in ordine ai reati per cui è processo. Rileva la Corte che sussistono varie ragioni che inducono a ritenere false le dichiarazioni del CALCARA in ordine al suo inserimento in COSA NOSTRA ed alle conseguenti indicazioni fornite sull’organigramma e la struttura di tale sodalizio mafioso. In primo luogo deve, infatti, osservarsi che la qualità di “uomo d’onore” del CALCARA non era nota a nessuno dei numerosi altri collaboratori di giustizia esaminati nel corso del presente processo, benché si trattasse di persone che per il ruolo di spicco rivestito in COSA NOSTRA nella provincia di Trapani – come FERRO Giuseppe, rappresentante della “famiglia” di Alcamo e capo dell’omonimo mandamento, uno dei quattro esistenti nel trapanese; SINACORI Vincenzo, reggente della “famiglia” di Mazara e dell’omonimo mandamento e PATTI Antonino, capodecina della “famiglia” di Marsala – ovvero nella provincia di Palermo – come BRUSCA Giovanni, reggente del mandamento di San Giuseppe Iato ed uomo assai vicino a RIINA Salvatore, indiscusso leader di COSA NOSTRA, che da questi era stato incaricato di seguire da vicino le vicende del trapanese ed in particolare del mandamento di Alcamo, ove era stato personalmente impegnato nella sanguinosa faida interna che aveva visto contrapposta la fazione corleonese a quella avversaria – o comunque per la loro lunga militanza in “famiglie” di COSA NOSTRA della provincia di Trapani – come MILAZZO Francesco, “uomo d’onore” dal 1973/1974 della “famiglia” di Paceco, inserita nel mandamento di Trapani – non potevano tutti ignorare l’inserimento del CALCARA in una “famiglia” di COSA NOSTRA del trapanese".

“Ma sono poi le stesse indicazioni fornite dal CALCARA a dimostrare la sua estraneità all’associazione denominata COSA NOSTRA. Non solo, infatti, il CALCARA ha ammesso di aver svolto per diverso tempo attività illecite per conto proprio, rimanendo a lungo in Germania ove aveva commesso anche una rapina e svolgendo poi attività di traffico di sostanze stupefacenti al di fuori dell’organizzazione mafiosa anche dopo l’asserito perdono che avrebbe ottenuto una prima volta da COSA NOSTRA – circostanze tutte queste che appaiono incompatibili con l’inserimento organico del CALCARA nella predetta consorteria mafiosa e tanto meno con la posizione di fiducia di cui egli avrebbe dovuto godere in quell’ambito per ricoprire gli incarichi di cui ha parlato e ricevere le confidenze su vicende assai riservate di cui ha riferito – ma egli ha, inoltre, dimostrato delle conoscenze dell’organigramma e della struttura di COSA NOSTRA che si sono rivelate assolutamente errate ed inadeguate al ruolo da lui rivendicato”.

“Il CALCARA ha, infatti, mostrato di ignorare: l’articolazione in quattro mandamenti di COSA NOSTRA nella provincia di Trapani; il nome del mandamento nel quale era inserita la propria “famiglia”, cosa questa che egli non avrebbe potuto sconoscere dal momento che era proprio il rappresentante della sua “famiglia” a dirigere quel mandamento, dimostrando così un livello di conoscenze in materia notevolmente inferiore anche a quello di chi, come MILAZZO Francesco, non ricopriva un ruolo maggiore di quello che il primo si è attribuito; ed ancora l’identità delle persone che ricoprivano le cariche di vertice nell’organigramma di COSA NOSTRA nella provincia di Trapani.”

“Ed è ancora assai significativo che il CALCARA non sia stato in grado di indicare, come hanno invece concordemente fatto tutti gli altri collaboratori della provincia di Trapani e lo stesso BRUSCA, il rappresentante provinciale in MESSINA DENARO Francesco, che pure era anche il rappresentante della “famiglia” in cui il predetto CALCARA ha dichiarato di essere inserito.
Le circostanze sopra indicate evidenziano che il dichiarante in esame non era inserito nell’organizzazione criminosa denominata COSA NOSTRA, e che le conoscenze spesso imprecise e lacunose fornite sulla medesima gli derivavano, quindi, dai contatti avuti a causa della propria attività illecita soprattutto nel settore del traffico di sostanze stupefacenti, ma anche dei delitti contro il patrimonio, con personaggi gravitanti nell’orbita di COSA NOSTRA”.