Doppio processo per mafia oggi a Marsala. Si terranno infatti le udienze per gli imputati delle operazioni antimafia "Ermes" (qualche giorno fa c'è stato il verdetto per coloro che hanno scelto l'abbreviato a Palermo, a Marsala invece si tiene il rito ordinario) e "Witness" (qui siamo alle battute finali). Facciamo il punto.
ERMES. Continua oggi il processo a quattro delle undici persone coinvolte nell’operazione antimafia “Ermes” (3 agosto 2015) con l’accusa di far parte della rete dei “postini” al servizio del principale boss latitante di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro. I quattro imputati sono Sergio Giglio, 46 anni, allevatore di Salemi, pregiudicato, Ugo Di Leonardo, di 74, ex geometra del Comune di Santa Ninfa, incensurato, Giovanni Mattarella, di 50, commerciante, genero di Vito Gondola, ritenuto il “reggente” della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, e Leonardo Agueci, di 28, ragioniere, incensurato, di Gibellina. Dei quattro, solo Giglio è ancora in carcere, mentre Di Leonardo è ai domiciliari. L’accusa è quella di aver fatto parte della rete di favoreggiatori di Matteo Messina Denaro con il compito di smistare i “pizzini” con i quali il boss latitante comunica con gli altri mafiosi. Coinvolti nella stessa indagine, hanno, invece, chiesto di essere processati con rito abbreviato, davanti al gup di Palermo Walter Turturici, Vito Gondola, 78 anni, Michele Gucciardi, di 62, imprenditore agricolo, ritenuto capo della “famiglia” di Salemi, Giovanni Domenico Scimonelli, di 48, “uomo d’onore” di Partanna, Pietro e Vincenzo Giambalvo, della “famiglia” di Santa Ninfa, di 77 e 38 anni, Giovanni Loretta, di 43, di Mazara del Vallo, e Michele Terranova, di 46, di Salemi, allevatore. Qui vi raccontiamo come è andata a finire. A difendere gli imputati processati a Marsala sono gli avvocati Carlo Ferracane, Giuseppe Ferro di Gibellina, Filippo Triolo, Walter Marino e Sebastiano Dara. Alla prima udienza, la difesa ha sollevato alcune eccezioni, comunque respinte dal Tribunale. Eccezioni che hanno riguardato Ugo Di Leonardo e la richiesta di costituzione di parte civile del Comune di Santa Ninfa. I legali di Di Leonardo hanno chiesto, inutilmente, di dichiarare la nullità del capo d’imputazione formulato per il loro assistito, obiettando che non si evince la data di decorrenza del reato contestato (416 bis). Respinta anche l’opposizione alla costituzione di parte civile del Comune di Santa Ninfa, che si aggiunge a quelle già ammesse in fase di udienza preliminare: i Comuni di Castelvetrano e Salemi, l’associazione antiracket “Paolo Borsellino onlus” di Marsala, rappresentata dall’avvocato Peppe Gandolfo, l’Antiracket e Confindustria Trapani, l’Antiracket Alcamo e il Centro studi “Pio La Torre”.
WITNESS. i avvia a conclusione, davanti il Tribunale di Marsala, il processo scaturito dall’operazione antimafia dei carabinieri “The Witness” (9 marzo 2015). Gli imputati, per i quali il pm Carlo Marzella ha chiesto la condanna per associazione mafiosa a 10 anni di carcere ciascuno, sono Antonino Bonafede, di 80 anni, pastore e vecchio “uomo d’onore”, Martino Pipitone, di 66, ex impiegato di banca, entrambi in passato già arrestati e condannati per mafia, e Vincenzo Giappone, 54 anni, pastore, incensurato. Secondo l’accusa, Antonino Bonafede avrebbe preso il posto del figlio, Natale Bonafede, in carcere dal gennaio 2003 con una condanna definitiva all’ergastolo, al vertice della locale famiglia mafiosa. All’anziano nuovo presunto “reggente”, nel gennaio 2015 sono stati confiscati beni per oltre 4 milioni di euro. Per la Dda, i tre personaggi alla sbarra avrebbero cercato di riorganizzare, dopo i numerosi arresti degli ultimi anni, la locale cosca mafiosa. A difendere Bonafede senior è l’avvocato Paolo Paladino, che nella sua arringa ha affermato: “Indipendentemente da altre condanne che in passato Antonino Bonafede ha avuto per 416 bis, due poi unificate, gli elementi raccolti in questo processo sono assolutamente inidonei a dimostrare tanto l’esistenza a Marsala di una ramificazione di Cosa Nostra, tanto la partecipazione di Bonafede a questa associazione. Ed è proprio sulla scorta degli stessi elementi citati dall’accusa che non emerge assolutamente questo ruolo di vertice del Bonafede”. A difendere Martino Pipitone, accusato anche di intestazione fittizia di una società ad altra persona, è l’avvocato Vito Cimiotta che, per quanto riguarda l’accusa di associazione mafiosa, ha ribadito che “sulla base delle emergenze processuali non si riscontrano elementi che possono portare ad una condanna, considerato innanzitutto che il tribunale per il riesame di Palermo ha escluso lo scorso anno i gravi indizi di colpevolezza”. E anche se il Riesame “non è un tribunale di merito – dice il legale - però ha dato una linea”. Cimiotta ha, quindi, evidenziato che “solo in una intercettazione il protagonista è il Pipitone, nelle altre sono terzi soggetti che parlano di lui, ma sempre senza lasciare intendere nulla che possa essere ricondotto ad attività illecita”. Per quanto riguarda, poi, l'integrazione fittizia dell’impresa “Trinacria”, il difensore ha sottolineato che tutti i testi ascoltati “hanno confermato che Pipitone era stato assunto come dipendente e che effettivamente svolgeva tali mansioni” e che “l'impresa nacque nel 2011 per essere liquidata nel 2012 senza aver avuto mai profitti”. Oggi, 4 maggio, sarà l’avvocato Stefano Pellegrino, legale di Vincenzo Giappone, a tenere la sua arringa.