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05/05/2016 06:30:00

Pino Maniaci. Dalle lezioni di legalità, alle estorsioni, agli atti intimidatori inventati

Pino Maniaci il 26 aprile scorso ha aperto il suo TG a Telejato augurando, alla sua maniera, a Matteo Messina Denaro, nel giorno del suo 54° compleanno, di finire i suoi giorni nelle patrie galere o sparato con un colpo di pistola. Gli slogan e le invettive colorite di Maniaci contro la mafia, in questi anni sono diventate un classico, e lui dell’antimafia è diventato un simbolo e un paladino. Ha girato in lungo e in largo l’Italia, per parlare ai ragazzi della sua esperienza di denuncia e di lotta contro il sistema politico-mafioso-collusivo. E quando è stato colpito da attentati intimidatori ha avuto la solidarietà della società civile, della politica e anche delle istituzioni. Era successo quando gli diedero fuoco alla macchina e più di recente, nel 2014, quando gli impiccarono i suoi amati cani, quando ricevette la telefonata del premier Matteo Renzi.

Da ieri, però, dopo che a Maniaci è stato notificato un provvedimento di divieto di dimora nelle province di Trapani e Palermo è crollato in Sicilia un altro “baluardo” dell’antimafia. E’ arrivata la conferma che il giornalista, direttore di Telejato è indagato per estorsione. È accusato di aver estorto somme di denaro e agevolazioni ai sindaci di Partinico e Borgetto per evitare commenti critici sull'operato delle loro amministrazioni, denaro e posti di lavoro che Maniaci avrebbe preteso in cambio di una linea morbida della sua televisione. Insomma, i magistrati, che per caso durante le indagini sulle infiltrazioni mafiose proprio nei comuni di Partinico e Borgetto, che hanno portato a nove arresti, si sono imbattuti in intercettazioni in cui Maniaci adottava quegli stessi metodi che lui stesso per anni ha denunciato dalla sua emittente televisiva.
Dalle intercettazioni si sente e si vede il giornalista che, dopo aver avvisato il suo interlocutore di un’indagine in corso, pronta per essere spedita al Ministero per mandare l’amministrazione comunale a casa, chiede di avere quattrocentosessantasei euro perché doveva recarsi in banca.

In un’altra intercettazione telefonica, invece, parla in maniera chiara di chi gli ha ucciso i cani, - è stato il marito della sua amante -, solo che ha detto che la vicenda verrà fuori come un attentato intimidatorio, cosa che conferma telefonicamente a un collaboratore della televisione, dicendo di dire che si tratta di un’intimidazione e che si sta indagando a 360 gradi.
Queste intercettazioni confermano che almeno parte delle intimidazioni subite da Maniaci sono state inventate, perché quelle in cui ha ricevuto gli insulti e l’aggressione del figlio del boss Vitale sono vere, come vero fu lo sfogo dello stesso boss di Partinico, Vito Vitale, che, intercettato qualche anno fa in carcere a Torino, disse: “Sta televisione si sta allargando troppo”. E forse queste stesse intimidazioni sono servite come “credenziali” a Maniaci per aver concesso d’ufficio dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia il tesserino di pubblicista, nonostante un curriculum penale che lo ha visto condannato per furto, assegni a vuoto, truffa, omissione di atti d’ufficio. Ma allora il consiglio regionale dell’Ordine ritenne che i reati non erano di particolare allarme sociale e non erano molto recenti.
Dalle indagini condotte dai carabinieri di Monreale e Partinico, sotto il diretto controllo del procuratore Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Vittorio Teresi e dei sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Roberto Tartaglia è emerso addirittura che il sindaco di Partinico Salvatore Lo Biundo e i suoi consiglieri si sarebbero autotassati per pagare lo stipendio all’amante di Maniaci, dopo un contratto trimestrale non rinnovabile.

Il caso di Maniaci è l’ennesimo del mondo dell’antimafia che ormai sta vedendo cadere i suoi simboli uno dopo l’altro. Dal presidente della Camera di commercio Roberto Helg alle inchieste sul presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante e del vice presidente nazionale Ivan lo Bello, indagato per la vicenda del porto di Augusta che ha portato alle dimissioni del ministro Guidi.
Tornando a Maniaci, dopo le prime voci delle scorse settimane il direttore di Telejato parlava di storie assurde e di una vendetta dei magistrati dopo le accuse alla Saguto, ma le intercettazioni a suo carico sono temporalmente precedenti al caso che esplose nel maggio 2015. Le denunce e le presunte estorsioni procedono dunque su due linee parallele.

Il caso di Maniaci è simbolico di un processo di dissolvimento del movimento antimafia che ormai si è esaurito per il ripetersi dei suoi precetti e delle sue sterili “lezioni di legalità”. Un movimento antimafia che si è fatto testimone negli ultimi vent’anni solo di proprie verità dogmatiche, non sostenute da un processo vero, di sviluppo culturale, di consapevolezza e di responsabilità. Un movimento antimafia che ha imbarcato a bordo anche chi non ha esitato un solo istante a cavalcare l’onda mediatica per trarre benefici di ogni genere. Maniaci, come dicevamo all’inizio, da tempo gira l’Italia per fare le sue conferenze e lezioni di “legalita”; a Marsala lo ricordiamo qualche anno fa nell’occasione dell’information day, assieme a Salvatore Borsellino, Gioacchino Genchi e Luigi De Magistris.
Su quanto venuto fuori dalle indagini e dalle intercettazioni di magistratura e carabinieri, non c'è dubbio che le prime vittime sono quelle numerose platee spesso composte da ragazzi che hanno creduto e sono stati illusi da un’antimafia dai mille volti che certamente non è quella che appare.

Le reazioni delle Istituzioni - Mattero Renzi: "Pino Maniaci era considerato un'icona dell'antimafia. Sembrava ci fosse un'attacco della mafia contro di lui e gli ho telefonato. Oggi le indagini hanno dimostrato che non era così e non rifarei quella telefonata che era di solidarietà contro la mafia". Così ha dichiarato il presidente del Consiglio durante #Matteorisponde, la consueta diretta sui social network.

Rosi Bindi: "Se saranno confermate le ipotesi di reato, saremmo di fronte ad nuovo, gravissimo esempio di tradimento delle buone ragioni di quanti si battono contro i poteri mafiosi. Dalle intercettazioni di Maniaci emerge uno spaccato desolante", le parole della presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi, che aggiunge: "Nella nostra inchiesta andremo fino in fondo per smascherare chi piega l'antimafia a finalità del tutto estranee e incompatibili. Vogliamo restituire credibilità e onore ad un mondo ricco e plurale, che svolge un ruolo essenziale per promuovere la cultura della legalità".

I parenti delle vittime di mafia. Maria Falcone: "Provo sempre una grande disillusione - dice - quando leggo di fatti del genere che coinvolgono persone al di sopra di ogni sospetto, che hanno avuto un ruolo nell'antimafia". Eppure in lei resta "la speranza e il coraggio". "Me lo ha insegnato Giovanni. Ad ogni colpo rialzava la testa e andava avanti". Non si può fare diversamente per la sorella del giudice antimafia, perché "se ci scoraggiamo tutti, si torna indietro non di 20 anni, ma anche di più. Io mi affido ai ragazzi e spero che la società di domani sia migliore di quella di oggi. Il 23 maggio sarà questo quello che diremo ai nostri giovani che verranno da tutta Italia".

Claudia Fava: "Quando qualcuno gli ha impiccato i cani, ho preso un aereo e sono andato a Partinico per dargli solidarietà, conforto, amicizia. Adesso leggo, come voi, che Pino Maniaci avrebbe usato tutto questo (le amicizie, le solidarietà, gli attestati di stima) per gonfiarsi come un tacchino. Dei cento euro forse pretesi da un sindaco se ne occuperanno i giudici per dirci se fu estorsione, bravata o solo minchioneria. Ma di ciò che ci riferiscono le intercettazioni, la risposta non la voglio dai giudici ma da Maniaci. Non chiacchiere su complotti e vendette mafiose: risposte!. "Voglio che dica - a me e agli altri che in questi anni hanno messo la loro faccia accanto alla sua - se quelle trascrizioni sono manipolate o se è vero che all'amica del cuore raccontava '.. mi hanno invitato dall'altra parte del mondo per andare a prendere il premio internazionale del ca.. di eroe dei nostri tempi. Uno di quei premi del ca... era intitolato a Mario Francese, giornalista palermitano ammazzato dalla mafia. Glielo consegnarono sei anni fa. Ci dica Maniaci che è tutto falso, intercettazioni, verbali, parole sue e degli altri: tutto! Oppure quel premio lo restituisca subito". "A noi resta il torto di una nostra colpevole ingenuità: esserci fidati in buona fede dei fumi d'incenso. Che con la lotta alle mafie non c'entrano mai nulla", conclude.

 

Questo il comunicato dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia che annuncia un attento esame dei fatti relativi a Pino Maniaci:

L’Ordine dei giornalisti di Sicilia esaminerà con grande attenzione la posizione del direttore di Telejato, Pino Maniaci, indagato dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, e che per legge non può essere sospeso cautelativamente e in via di urgenza dall’albo, in quanto la misura cautelare emessa nei suoi confronti non prevede il carcere né gli arresti domiciliari. Fermo restando il massimo rispetto per la presunzione di innocenza e l’augurio al collega di riuscire a provare la propria estraneità alle contestazioni che gli vengono mosse, gli atti saranno trasmessi al competente Consiglio di disciplina territoriale, che, pur se autonomo e del tutto indipendente dal Consiglio dell’Ordine, verrà invitato a non entrare nel merito delle accuse di estorsione (la cui fondatezza dovrà essere accertata dai giudici penali) ma ad esaminare con rigore estremo e scrupolo il contenuto delle affermazioni fatte dallo stesso Maniaci, nel corso delle conversazioni intercettate. Oggetto della verifica dovrà essere cioè la dignità, il decoro e il prestigio del giornalista sotto inchiesta e, di riflesso, della categoria intera, nonché l’eventuale strumentalizzazione della professione e dell’immagine antimafia per fini diversi da quelli imposti dalle regole del mestiere. L’Ordine – inteso come Consiglio e come Consiglio di disciplina – seguirà nelle valutazioni la propria linea di sempre: quella della più assoluta uguaglianza di tutti gli iscritti di fronte alle regole.