Sarà il giudice Riccardo Alcamo, e non più Francesco Parrinello, a dover decidere se rinviare a giudizio o no il noto imprenditore del settore ristorazione-alberghiero Michele Licata e le figlie Valentina e Clara Maria, accusati di frode fiscale. A dichiararsi “incompetente” è stato Parrinello. E questo perché ha già emesso sentenza in merito al procedimento. A inizio marzo, infatti, ha condannato, con rito abbreviato, sei persone accusate di aver emesso quelle false fatture che a Licata hanno consentito di evadere tasse per milioni di euro. La palla passa, dunque, al gup Alcamo. Prima udienza: il 25 maggio. Gli avvocati difensori sono Salvatore Pino, Carlo Ferracane e Gioacchino Sbacchi. Il procedimento è quello scaturito dal primo sequestro di beni. Quello preventivo del 21 aprile 2015, quando, per frode fiscale e truffa allo Stato, Procura e Guardia di finanza bloccarono un patrimonio valutato in circa 100 milioni di euro: denaro, quote societarie, beni mobili e immobili, per un valore di circa 13 milioni di euro, nonché quote sociali e beni mobili e immobili di quattro complessi aziendali per un valore stimato in circa 90 milioni di euro. Alberghi e ristoranti (Delfino, Delfino Beach, Baglio Basile, agriturismo La Volpara) hanno, comunque, continuato la loro attività sotto la gestione di un amministratore giudiziario. Per false fatture, in concorso con Michele Licata, il gup Parrinello, due mesi fa, ha condannato Filippo Giacalone, rappresentante legale della “SiService”, Antonino Nizza, socio amministratore della “Pi.Ca.M.”, Domenico Ferro, titolare della ditta “Security”, Carlo Mineo Buccellato, trapanese, titolare “di fatto” della ditta “Castiglione Maria Rosa” (prodotti alimentari), e i mazaresi Gaspare Messina, titolare di “Ambienti Hotel”, e Leonarda Cammareri, titolare del Centro “Dorelan”. L’indagine, coordinata dall’ex procuratore Di Pisa e dal sostituto Antonella Trainito, è stata svolta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura.