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17/05/2016 06:15:00

Pronto il "Patto per la Sicilia", ma sono soldi vecchi. Progetti per il parco di Selinunte

 E' pronta la bozza definitiva del "Patto per la Sicilia", il "papello" con gli impegni che il governo prende con i siciliani, promettendo investimenti tanto nelle infrastrutture quanto nei beni culturali. La firma dell'accordo, che segue quella di Palermo e Catania di qualche settimana fa, doveva essere fatta domani, 15 Maggio, festa dell'autonomia siciliana, tra Matteo Renzi e Rosario Crocetta, ma non si è fatto in tempo. 

La Sicilia potrà disporre di circa 14 miliardi di euro da spendere in cinque anni, più 2,4 miliardi entro il 2017. I finanziamenti più cospicui sono destinati al risanamento della aree colpite dal dissesto idrogeologico ed erosione delle coste. Circa 600 milioni per mettere in sicurezza gran parte del territorio isolano, in particolare nel Messinese. Il Patto per la Sicilia, inoltre, prevede investimenti per i “grandi attrattori”, siti culturali che avranno l’obiettivo di portare in Sicilia grandi masse di viaggiatori. Sono stati individuati: l’area archeologica di Siracusa; il Parco archeologico di Selinunte; il Castello Maredolce di Palermo, che rientra nel circuito arabo-normanno di Palermo, Monreale e Cefalù, riconosciuto recentemente dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.

Un impegno finanziario cospicuo - le singole poste stanno per essere definite - è destinato per la messa in sicurezza ed il restauro della Cattedrale di Agrigento che, come è noto, sorge su una collina di tufo molto friabile. Per incrementare il flusso dei viaggiatori si punta anche sulla Villa romana del Casale, di Piazza Armerina, che, con i suoi mosaici, è già uno dei siti archeologici siciliani più visitati. Altro bene, poco conosciuto, ma di grande valore storico artistico è la Cittadella borbonica di Messina che sarà bonificata.

A Gela sarà realizzata la darsena, mentre a Catania viene finanziata la realizzazione della “cittadella giudiziaria” che sarà realizzata nelle ex Poste di viale Africa. Risorse sono destinate anche alla riqualificazione dei centri urbani e per il completamento di rete fognarie e depuratori e per impianti a supporto dello smaltimento dei rifiuti. Finanziamenti sono previsti anche per le strade secondarie, ex provinciali, e per la realizzazione di alcune vie di fuga nelle zone della Sicilia orientale soggetta a scosse sismiche.

Una montagna di euro, dunque, si rovescerà sulla Sicilia, oltre i fondi europei che ammontano complessivamente a circa 10 miliardi di euro. Le risorse economiche che potranno essere investite dalla Regione, sono fondi statali del cosiddetto Fsc (Fondo sociale coesione), ma non sono tutti finanziamenti  nuovi.  Infatti, per una buona parte, secondo fonti di Palazzo Chigi, si tratta di progetti già finanziati, ma non realizzati o rimasti a metà, per un importo di circa 8 miliardi di euro.

Insomma, il governo Renzi annuncia finanziamenti per la Sicilia e per il Sud che in realtà erano già previsti. Lo spiega bene La Stampa:

Tutti i discorsi sul Sud fanno capo a una sigla: Fsc. È il Fondo Sviluppo e Coesione, il canale di finanziamento nazionale che corre in parallelo ai fondi europei. Il Fondo si dispiega in cicli di sette anni e per legge l’80% dei soldi vanno al Sud. Quello attuale inizia nel 2014, mentre si insedia il governo Renzi. Ma non se ne sa nulla fino al 30 luglio 2015, quando lo Svimez (Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno) anticipa il suo rapporto annuale, parlando di crescita inferiore a quella Greca, allarme povertà, «sottosviluppo permanente». Lo scrittore Roberto Saviano lancia un appello al premier, che risponde a modo suo: una settimana dopo convoca una direzione Pd ad hoc e annuncia per settembre un «masterplan per il Sud». Viene pubblicato a novembre. Ora si cominciano a firmare i patti che dovrebbero attuarlo. 

Dunque in un ciclo di investimenti di sette anni si parte con due anni e mezzo di ritardo. Nel frattempo la dotazione del Fondo si è sensibilmente ridimensionata: da 55 a 38 miliardi. E gli altri 17? Prelevati dal governo come a un bancomat per le più diverse esigenze dalla banda larga al piano per la ricerca ai beni culturali, per i quali il criterio di distribuzione geografica è stato capovolto: al Sud solo il 27% (peggio che con lo Sblocca-Italia, che aveva destinato solo il 38%). 

Tecnici delle Regioni ed esperti come Andrea Del Monaco, già consulente del governo Prodi, hanno svolto analisi più accurate. Emerge che per una quota prevalente (tra il 71% e il 75%) si tratta di soldi già stanziati dai governi precedenti, non nuovi. «Renzi ha raccolto quel che già c’è, sia in termini finanziari che di progetti», spiega l’economista Gianfranco Viesti.