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26/05/2016 06:20:00

La psiche del mafioso. A Salaparuta, il contributo degli psicologi di Palermo

Com’è fatto un mafioso? Come funziona la sua psiche? Ne abbiamo parlato con Girolamo Lo Verso, professore di psicoterapia all’Università di Palermo e con Giusy Cannizzaro, dottore di ricerca presso lo stesso ateneo, in occasione della ricerca-intervento in provincia di Trapani, dal titolo “Lo psichismo mafioso”, svoltosi il 21 e il 22 maggio scorsi.

Dottoressa Cannizzaro, in che modo lo studio dello psichismo mafioso può aiutare la lotta alla mafia?

“Ci siamo molto interrogati su quale possa essere il contributo della psicologia all’accrescimento della comprensione dall’affrancamento dal fenomeno mafioso. Prima però occorre conoscerlo. Conoscerne la cultura, come questa si intreccia, influenza ed è influenzata dalla cultura siciliana. Una sorta di deformazione dei valori che fondano la cultura siciliana. Occorre capire qual è la sofferenza dei cittadini che vivono nei territori ad alta densità mafiosa, delle vittime dirette e indirette, dei familiari e delle comunità tutte. Ieri un sindaco parlava di un centro sociale bruciato alla vigilia di una manifestazione importante nel suo paese. Ecco, lo psichismo mafioso è questo: in alcune comunità la mafia ti dice che la vita non può esistere, perché la polis, il sociale non può riunirsi. E allora occorre combattere su questo fronte, creare empowerment per rafforzare la comunità e le persone, facendole uscire dall’isolamento e facendole incontrare. Questi tipi di progetto, convegni, ricerche-intervento, il fare gruppo nel territorio aiutano le persone a vedere le cose. Nel film Spotlight abbiamo l’abuso perpetrato da decine di preti nei confronti di minori in Inghilterra. La riflessione qual è? E’ possibile che nessuno sapeva? E la risposta è no. Affinché venga attuato un abuso, soprattutto così massiccio, ci deve essere una comunità che collabora. Ecco, questo accade anche con la psicologia del fenomeno mafioso: perché ci siano le vittime, gli incendi, i furti di bestiame, le richieste di pizzo, gli omicidi, le distrazioni di fondi economici, non è necessario che ci sia una comunità consapevolmente collusa. Basta che non riesca a vedere.”

Professore Lo Verso, come guardare alla psiche dei mafiosi?

“E’ un mondo più spietato e spersonalizzato di quello che possa essere il mondo dei terroristi islamici, quindi dobbiamo avere chiaro a che livello ci muoviamo. E’ un mondo che va capito nella sua specificità. L’aveva già capito Giovanni Falcone, con cui di fatto avevamo iniziato queste cose quando eravamo entrambi a Trapani. Lui infatti riuscì a fare parlare Buscetta, proprio perché capì che era un “uomo d’onore” e un generale di un esercito. I mafiosi non hanno l’io, uccidono con indifferenza e hanno come unico obiettivo il potere.
Studiare lo psichismo mafioso serve anche a capire come possiamo aiutare le vittime di mafia, che sono tante, figli, nipoti… Siamo noi stessi quando non abbiamo il coraggio di intraprendere un’attività commerciale perché ci chiederanno il pizzo. Le vittime di mafia in Sicilia probabilmente siamo tutti. Paradossalmente lo sono persino i mafiosi, gente che di fatto non ha una vita umana.
Quando fu degli attentati terroristici, i francesi sono stati meravigliosi, perché cantando la Marsigliese hanno confermato che la vera forza sta nei nostri valori: uguaglianza, fratellanza, democrazia, libertà. Valori da mantenere nonostante gli attentati. Ecco, dobbiamo mantenerli anche nonostante i mafiosi, ma non è facile.”

C’è però anche la differenza tra il terrorismo islamico, che è estraneo al nostro contesto, e la mafia che invece si intreccia con la nostra cultura.

“Certo, la mafia fa parte di noi, della nostra storia, delle nostre collusioni. Qui ha colluso un’intera popolazione. Non dobbiamo dimenticare che durante le passate elezioni regionali c’erano due candidati: uno poi finì in galera per associazione mafiosa, l’altro invece era il sindaco di Palermo, da sempre impegnato contro la mafia. Il primo vinse col 52,84%. Anche per un equivoco che la cultura mafiosa, prima ancora della mafia, ha saputo sfruttare. Il suddetto galeotto andava dagli abusivi dell’agrigentino, la provincia più “felix” insieme a quella di Trapani, dal punto di vista mafiologico, promettendo loro che avrebbe salvato le loro case abusive. Noi, cultura della legalità, dicevamo loro che dovevamo abbattere le case, senza spiegar loro però che abbattere la casa poteva anche voler dire fare un bar per i turisti e fare campare i nipoti. Insomma, quello ha vinto anche per la nostra limitazione di analisi.”

Come si fa a svincolare lo studio del comportamento mafioso dal contesto politico istituzionale? Se ci si concentra sull’individuo, non si rischia di perdere l’aggancio collettivo?

“Proprio in provincia di Trapani, con la storia che c’è stata e che c’è ancora adesso, svincolare lo studio del comportamento mafioso dal contesto politico istituzionale sarebbe un paradosso. Non esiste il mafioso come singolo, come individuo, per cui tutto il contesto si tiene eccome.”

Che ne pensa del caso Despar di Castelvetrano? Una catena di supermercati confiscati che poi falliscono producendo nuova disoccupazione. Che cosa si può dire a coloro che hanno perso il lavoro e magari sono arrivati alla conclusione che con la mafia si lavorava e con lo Stato no?

“Legalità e onestà non bastano, senza l’intelligenza e la capacità. Diversamente rischiano di essere dei concetti perdenti, controproducenti. La prima cosa cui bisogna pensare è lo sviluppo imprenditoriale.”

Al termine delle due giornate di studio, il Professore Lo Verso ha ricordato Giovanni Falcone. “Era un giudice, un uomo. Amava il mare, il whisky e persino le ignobili battute delle barzellette inglesi. E quindi, ricordiamolo così.”

Egidio Morici