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17/06/2016 06:15:00

Mafia. Il processo ai "postini" di Messina Denaro. Parla l'ex capo della Mobile

 Gli avvocati difensori considerano tutto sommato favorevole agli imputati la deposizione che l’ex capo della Squadra mobile di Trapani, Giovanni Leuci, ha reso, in Tribunale, a Marsala, nel processo a quattro presunti fiancheggiatori del boss Matteo Messina Denaro coinvolti nell’operazione antimafia “Ermes” (3 agosto 2015). Imputati sono Sergio Giglio, 46 anni, allevatore di Salemi, Ugo Di Leonardo, di 74, ex geometra del Comune di Santa Ninfa, Giovanni Mattarella, di 50, commerciante mazarese, genero dell’anziano boss Vito Gondola, e Leonardo Agueci, di 28, ragioniere incensurato di Gibellina. Dei quattro, solo Giglio è ancora in carcere. Mattarella e Agueci devono rispondere “solo” di favoreggiamento e non di associazione mafiosa, come Di Leonardo e Giglio. “Ascoltando le intercettazioni – ha detto Leuci - capivamo che si parlava dei pizzini con i quali Matteo Messina Denaro comunicava con gli affiliati, ma questi bigliettini non li abbiamo mai visti e di conseguenza neppure sequestrati”. I personaggi coinvolti nell’operazione “Ermes” sono accusati di aver svolto il ruolo di “postini” per Messina Denaro. Avrebbero avuto, infatti, il compito di smistare i “pizzini” con cui il capomafia impartiva ordini. A difendere gli imputati sono gli avvocati Carlo Ferracane, Celestino Cardinale, Giuseppe Ferro di Gibellina, Filippo Triolo, Walter Marino e Sebastiano Dara. Rispondendo alle domande del pm Carlo Marzella e di alcuni avvocati, Leuci ha spiegato che dalle intercettazioni emergevano discorsi che alludevano ai pizzini e talvolta si udivano anche rumori di carte. “Ma poteva essere qualunque foglio di carta o qualcuno che schiacciava un pacchetto di sigarette vuoto” replica l’avvocato Carlo Ferracane, difensore di Giglio. Rispondendo alle domande dello stesso legale, poi, il poliziotto ha detto che non risultano telefonate intercettate tra Giglio e il boss Vito Gondola. E neppure incontri. L’anziano capomafia mazarese, insieme con il presunto capomafia di Salemi Michele Gucciardi e il partannese Giovanni Domenico Scimonelli, entrambi già condannati a 17 anni di carcere con l’abbreviato, sarebbe stato uno dei terminali del sistema di collegamento. La difesa, però, ha evidenziato che “non sono stati individuati gli altri anelli della catena di trasmissione”.