Siamo nel 2016 ma lo schiavismo esiste ancora e anche in Italia. E’ questa la triste verità che viene fuori dalla denuncia di sfruttamento di lavoratori italiani, ma anche di richiedenti asilo appena sbarcati in Italia, del secondo rapporto #FilieraSporca dal titolo “La raccolta dei Rifugiati. Trasparenza di Filiera e responsabilità sociale delle aziende”, promosso da Terra! Onlus, Associazione del Sud e Terrelibere.org. Potete visualizzare qui il rapporto completo di #Filierasporca.
I promotori della campagna hanno scoperto che quest’anno la raccolta delle arance nella piana di Catania è stata fatta anche dai richiedenti asilo del Cara di Mineo, il centro di accoglienza più grande d’Europa, anche se di fatto non potrebbero lavorare perché privi del permesso provvisorio. Ma gli “schiavi delle arance” sono anche italiani. Raccolgono arance da succo dalle 8 del mattino alle 4 del pomeriggio per 10 o 20 euro al giorno, a seconda del periodo. Nelle campagne siciliane il caporalato e gli abusi, specie sui migranti, sono una realtà che assume le forme di una nuova schiavitù. E oggi, a questa situazione già gravissima, si aggiunge il fatto ormai diventato una prassi che le aziende si riprendono il bonus Irpef di 80 euro al mese, introdotto dal Governo Renzi nel 2014.
La crisi del settore agrumicolo, l’assenza di trasparenza della Grande Distribuzione Organizzata, e lo sfruttamento di lavoratori italiani e richiedenti asilo, sono i tre punti dello stesso blocco di ingiustizie che soffocano il Made in Italy”.
Le varie parti di cui si compone il prezzo delle arance elaborata nel rapporto dimostra come il settore degli agrumi scarichi tutto il peso della crisi economica sui lavoratori. Un chilo di arance per il mercato del fresco viene pagato al produttore tra i 13 e i 15 centesimi, di cui solo 8-9 vanno ai lavoratori, fino a scendere a 3-4 per i braccianti in nero, che arrivano a 2 per gli stagionali. Il prodotto al supermercato invece viene venduto a 1,10-1,40 euro, di cui il 35-50% è costituito dal ricarico della grande distribuzione organizzata (Gdo). Numeri ancora peggiori per le arance da succo. Un litro di succo d’arancia al supermercato costa 1,80-2 euro, ma è un prezzo imposto dal mercato, perché, anche con i miseri margini di guadagno della produzione, il prezzo minimo reale dovrebbe essere almeno 2,70 euro al litro. Il sottocosto lo pagano i lavoratori sfruttati e i consumatori che bevono succo tagliato con concentrato proveniente dall’estero, più economico e spacciato come italiano: l’industria di trasformazione delle arance fattura 400 milioni l’anno ma si comprano agrumi italiani per soli 50 milioni. Nel contempo per il succo c’è stato un aumento vertiginoso di importazioni da Egitto, Marocco e Spagna, oltre che dal Brasile
Il direttore di Terra Onluns! e portavoce della Campagna #FilieraSporca, Fabio Ciconte:
"Questo secondo Rapporto di Filiera Sporca svela le cause reali del caporalato. E’ una filiera in cui convivono tutti: ci sono i braccianti; ci sono le aziende locali; c’è la grande distribuzione; c’è la criminalità organizzata e quindi le mafie e ci sono i grandi gruppi industriali. Abbiamo svelato un meccanismo che continua imperterrito ad andare avanti e lo abbiamo fatto ad un anno di distanza, che abbiamo dovuto contare – nostro malgrado – attraverso i morti sul campo: oltre 10 persone, italiane e straniere, morte per raccogliere prodotti che noi mangiamo ogni giorno. Se convivono tutti in questa filiera è chiaro che la responsabilità va, in qualche modo, distribuita. E’ per questo che noi abbiamo chiesto conto alle aziende dalla grande distribuzione alle multinazionali, chiedendo rassicurazioni su come loro evitano che questi prodotti dello sfruttamento arrivino sui banchi del supermercato: su dieci aziende che noi abbiamo contattato, il dato probabilmente più grave è che solo quattro hanno risposto; delle quattro soltanto una ha risposto con una percentuale di trasparenza al 90 per cento.
Dobbiamo concentrarci su misure preventive: noi dobbiamo prevenire il verificarsi del fenomeno. Non è sufficiente punire il caporale, che è soltanto un pezzo di questa filiera, ma dobbiamo intervenire sulla prevenzione. Per farlo abbiamo chiesto un incontro urgente con il ministro Martina, per esporgli le nostre proposte: la principale è una legge sulla trasparenza, che preveda l’introduzione di una etichetta narrante, che racconti la vita del prodotto e che ci dica – per esempio – l’elenco dei fornitori che ci sono lungo questa filiera. E questo perché noi dobbiamo attivare un meccanismo di controllo sociale dei consumatori, dei cittadini a livello nazionale e a livello locale, che impedisca il verificarsi del fenomeno".
Un appello cui si è aggiunto quello di Celeste Costantino, componente della commissione parlamentare antimafia che ha sottolineato come occorra «un impegno maggiore del Governo per superare i ghetti, ridare dignità al lavoro e togliere spazio alle mafie che creano e insieme cavalcano la crisi del settore».
#FilieraSporca propone la responsabilità solidale di supermercati e multinazionali, che devono rispondere per quanto avviene anche nei livelli inferiori della filiera. E norme per l’etichettatura trasparente, attraverso l’elenco pubblico dei fornitori, perché informazioni chiare permettono ai consumatori di scegliere prodotti “slavery free”.