Il 25 Giugno 2016, in una delle sale del Palazzo “Fici” di Marsala, il regista Massimo Pastore (TAM) e il suo rinnovato gruppo teatrale anticipano (con performance accennata) quello che prossimamente sarà uno spettacolo teatrale completo.
In scena il governo del popolo desovranizzato e terrorizzato, il proclama dello stato d’assedio della peste, ovvero il potere come virus invasivo e vitrea fraudolenza. Le battute sono i tratti espressivi dell’opera dello scrittore della rivolta – “mi rivolto, dunque siamo” –, il francese Albert Camus. Il nemico giurato di ogni forma di dittatura che la memoria artistica ha saputo conservare e consegnare alla parola e all’azione del teatro, drammatizzandone le virtualità invase e perverse. Il contagio virulento in espansione e funzione disabilitante cui la potenza della parola, a servizio di servaggio amministrativo e dei rapporti di forza del comando, al tempo stesso ne rivela il rovescio paradossale. Nessun obbligo d’obbedienza che non sia la soggezione liberamente condivisa, cui gli stessi soggetti, esposti all’urto degli enunciati e dei dettati del potere di turno, debbono dare prova di indiscussa fedeltà come obbedienza senza resistenza. Il tramite di questa soggettivazione l’azione dell’ordine simbolico (la lingua, la gestualità vocale, le posture, le tonalità corporee degli attori…) e una comunicazione unilaterale, asimmetrica. Neanche lo straccio di un contratto!
La nuova economia politica del dominio – che impiega la lingua e la comunicazione – e la critica di questa economia politica; questa la dialettica disalienante del nuovo spettacolo teatrale presentato prossimamente a Marsala dal regista Massimo Pastore, il fondatore del TAM (il teatro dei sogni). Il teatro dei sogni desueti o abusivi, e per questo sovversivi.
Una messa in scena, quella del nuovo gruppo teatrale di Massimo Pastore, come il perturbante del secolo nell’atto della nuova industrializzazione dell’immateriale e dei desideri. Il perturbante mediato dagli ordini del discorso della sicurezza/insicurezza del secolo che, in corso d’opera, il regista Massimo Pastore e il suo gruppo (rinnovato) hanno, però, saputo preparare e porre in simulazione di estetica straniante e oppositiva nei confronti di ogni posizione di consenso e acquiescenza servile (come se fosse una via di salvezza individuale o pax sociale…). La capacità artistico-teatrale del gruppo cioè che, in situazione, con l’azione della voce, della parola e della gestualità mimo-pratica presenta il rassicurante e il protettivo come il minaccioso, ovvero il perturbante proprio all’attuale sociale e politico.
Nessuno elogio del profondo freudiano, del ritorno del rimosso o dell’oscuro o di una vocazione alla morte. Solo una parola netta e chiara che provoca e induce verso l’estesia politica della ribellione. Il rifiuto e le fughe delle singolarità sociali sottoposte al panico della parola. Il panico che, coltivato ad hoc nell’attuale desertificazione del conflitto, devia l’attenzione dal pericolo reale e il potere della soggezione e dell’assoggettamento dei singoli e dei molti come salute e salvaguardia dei beni, compreso quello della vita. Un j’accuse, lo “stato d’assedio”, la vigente ristrutturazione del mondo perseguita con la manipolazione delle relazioni “spirituali” e della stessa nuda vita degli animali umani.
Un atto d’accusa, qui ed ora, che questo teatro in scena simula e non mente. E perciò una sfida che occorre non lasciare all’oblio del guarda e passa!
Antonino Contiliano