Si definiscono un gruppo di amici, “quattro pazzi”, che vogliono diffondere “la cultura antimafia”. Si definiscono “trasparenti”, anche se nessuno ha mai detto il contrario. E quelle strane, e inopportune costituzioni di parte civile nei processi in tutta Italia, quelle sono un semplice “ampliare gli orizzonti”.
E’ la strana associazione antiracket e "antimafie" Paolo Borsellino onlus di Marsala. Una creatura che nasce dalla trasformazione dell’associazione antiracket di Marsala, una associazione antimafia che, con il suo dominus, l’avvocato Peppe Gandolfo, gira in lungo e in largo i tribunali di tutta Italia lanciandosi nel business del momento per l’antimafia: la costituzione di parte civile nei processi contro la criminalità organizzata. Una associazione nata a Marsala che si fionda sul processo “Mafia Capitale”, sul processo “Aemilia” quello sulle 'ndrine in Emilia Romagna, che tenta il colpaccio anche al processo sulla Trattativa Stato-mafia.
Una stortura per l’antimafia, quella concreta, quella sul territorio di sudore e di studio, di fatiche e di cultura. Loro, i responsabili dell’associazione marsalese hanno tentato di spiegare le cose, qualche giorno fa, in una conferenza stampa praticamente deserta di giornalisti. Il caso dell’associazione lo ha trattato diverse volte Tp24.it ed è stato raccontato anche da Giacomo Di Girolamo in “Contro l’Antimafia”.
L’associazione antiracket di Marsala un bel giorno, tempo fa, decide di cambiare nome. L’antiracket e Marsala stanno stretti, i processi sull’usura sono pochi in città, e scarseggiano quelli contro le cosche locali. Allora ci si attiva per “ampliare gli orizzonti”. Proprio così lo chiama il processo di trasformazione il professore di educazione artistica alle medie Enzo Campisi, colui che si definisce “artefice della trasformazione”. Si pensa ad una rivoluzione dello statuto, a cominciare dal nome. Non si chiamerà più associazione Antiracket di Marsala, ma “Associazione Antiracket e Antimafie Paolo Borsellino Onlus”. Tutto quadra. Le mafie, non più la mafia, consente di far rientrare nella lista i processi contro le ‘ndrine di tutta Italia, o le associazioni criminali ibride, come Mafia Capitale. Spuntano sedi fittizie. In Piemonte, a Roma, a Bologna. Quando non c’è neanche quella di Marsala. “La nostra è una associazione molto modesta che ha l’ambizione di crescere nel tempo, allora proposi un cambio di passo. Restare limitati a Marsala sembrava stretto per la voglia di comunicare la cultura antimafia”. Campisi spiega così l’attraversamento dello Stretto.
Ad esempio l’associazione si è costituita parte civile al processo “Aemilia” sulla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Il primo step del processo, quello con il rito abbreviato scelto da alcuni imputati, si è concluso con l’ammissione di parte civile per l’associazione marsalese e il riconoscimento di un “ristoro” di 20 mila euro. Più il pagamento delle spese legali: 7 mila euro per il legale di fiducia dell’associazione, ossia lo stesso Peppe Gandolfo. “Ma non abbiamo ancora ricevuto questi soldi”, dice il direttivo dell’associazione. Non ancora, quindi. Ma cosa fa, cosa ha fatto in Emilia Romagna l’associazione guidata da Antonino Chirco, presidente "per caso" da un paio d’anni. Quali sono state le attività sul territorio emiliano tali da giustificare la costituzione di parte civile, e quali sono stati i danni provocati all’associazione dalle ‘ndrine? Insomma cosa è stato prodotto in questi anni? Poco o nulla, a giudicare dalla risposta: “Ci siamo estesi dove avevamo persone vicine. E’ ridicolo fare una guerra tra i poveri e voler distruggere una attività antimafia. Abbiamo cercato di creare dei gruppi di studenti per crescere lentamente. Abbiamo deciso di costituirci parte civile dove avevamo un gruppo di studenti a noi vicini”. Quindi a Bologna c’è un gruppo di studenti, che si incontra, ogni tanto, non è dato saperlo, e che ha deciso di costituirsi parte civile in un processo nato da inchieste e per fatti precedenti alla nascita stessa della sede emiliana dell’associazione. Buono a sapersi.
Nel favoloso mondo dell’antimafia succede questo. Ma qual è il senso, giuridico, logico, di buon senso, di onesta intellettuale di costituirsi parte civile a dei processi che nulla hanno a che vedere con una associazione marsalese?
“Se non lo fanno i siciliani a schierarsi contro le mafie in tutta Italia lo devono fare i genovesi. O i bergamaschi?” dice Campisi. “Ci sentiamo in dovere di dire ci siamo. Poi sta al magistrato se è pertinente la nostra costituzione. Sono i magistrati come Nino Di Matteo che ci esaminano”. In realtà Nino Di Matteo, e magistrati come lui, non c’entrano nulla, dato che è un magistrato non giudicante, che ha curato la parte inquirente del processo trattativa Stato-Mafia, in cui tra l'altro l'associazione di Gandolfo e il suo gruppo di amici si è costituita parte civile senza essere ammessa.
Per il presidente Chirco, però, sollevare domande, sull’opportunità di queste costituzioni di parte civile nei processi extra marsalesi, senza aver svolto nessuna attività sul territorio, è il frutto di “farneticazioni”. “Abbiamo organizzato diversi incontri nelle scuole, sia in Piemonte che in Sicilia” e poi, attività di spicco, quella di partecipare alle manifestazioni delle Agende rosse. Perchè? “Per rafforzare i magistrati del processo sulla trattativa Stato-mafia”. Insomma, un tormentone.
L'associazione però nasce come antiracket. Qui invece pare una versione ridotta e casereccia di Libera. E quanti sono gli imprenditori, i commercianti, che in questi anni sono stati assistiti dall'associazione dalla denuncia al processo? Per l'avvocato Peppe Gandolfo sarebbero una quindicina, in 14 anni di attività. Ma senza dati alla mano. Il presidente Chirco fa capire che negli ultimi anni non è stato assistito nessuno. “Se non si presenta nessuno per denunciare, abbiamo un numero verde. E una sede che si trova nel comando dei vigili urbani di Marsala, ma una vittima non verrà mai al comando”. Anche perchè la sede è sempre chiusa. “No, qui non si fa vedere mai nessuno, solo quando c'è qualche riunione, ma non vengono mai”, ci dicono dalla stazione dei vigili urbani di via Del Giudice. “Nessuno denuncia perchè non si sente protetto dallo Stato” dicono i responsabili dell’associazione.
L’associazione antiracket, c’è da dire, che in questi anni è stata anche una sorta di comitato elettorale per l’avvocato Giuseppe Gandolfo. All’interno ci sono quasi tutti i suoi fedeli sostenitori che lo hanno seguito nella campagna elettorale del 2012, quando si candidò sindaco, e poi lo hanno seguito nella “moda” dell’adesione al movimento 5 Stelle di Marsala. Una convivenza mai serena con il gruppo storico dei 5 Stelle. Anche per le notizie che arrivavano dall’associazione. La trasformazione, dicevamo, è avvenuta un paio di anni fa. L’antiracket di Marsala negli anni si è costituita parte civile in diversi processi, e tutti i soldi accumulati nei vari risarcimenti non si sa che fine abbiano fatto. Spariti nel nulla, come conferma lo stesso Chirco: “Negli anni passati è stata usata come bancomat”. Ma da chi? E perché? E ora che si fa? “Abbiamo deciso di rendere trasparenti i nostri bilanci e pubblicarli sul nostro sito”. Peccato che il sito non sia ancora online. In tutto ciò non è mai stato prodotto alcun documento, alcuno studio sulla presenza della malavita organizzata a Marsala e nella provincia di Trapani.
E poi le attività. Tutto è antimafia, tutto è legalità, tutto giustifica la presenza nelle aule dei tribunali, e il nome di Paolo Borsellino nell’intestazione apre la pista a progetti di legalità e a sovvenzioni pubbliche. “Abbiamo restituito i soldi che ci ha dato la Regione, siamo stati gli unici”, dice ancora Gandolfo. Altre iniziative? “Abbiamo accompagnato i ragazzi in discoteca per sensibilizzarli a non usare alcolici”. Ecco, l’antimafia sobria e astemia, quella che fa paura alle ‘ndrine.
Intanto negli ultimi tempi qualcosa è accaduto: l'associazione ha attaccato alcuni manifesti in città. Un po’ nei bar, un po’ nei panettieri. C'è poi uno striscione, un banner, che fa il giro d'Italia e che era presente alla prima udienza del processo Aemilia a Bologna come, in posizione strategica, su un balcone, ai funerali del maresciallo Silvio Mirarchi, un mese fa, davanti la chiesa madre, a tiro di telecamera. Non chiamatelo esibizionismo, è “ampliare gli orizzonti”.