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09/08/2016 06:35:00

Va avanti a Firenze l'inchiesta sui rapporti di Bulgarella con la mafia

 Va avanti a Firenze l'inchiesta sui possibili rapporti tra l'imprenditore trapanese Andrea Bulgarella e la mafia. Nove mesi dopo aver stoppato le indagini sui rapporti dell’imprenditore trapanese  con esponenti di mafia e con i vertici di Unicredit, in particolare il vicepresidente Fabrizio Palenzona, il tribunale del riesame di Firenze si è inchinato alla volontà della Corte di Cassazione e ha confermato il decreto di perquisizione e sequestro del 30 settembre della procura distrettuale antimafia. Lo ha fatto, però, chiaramente obtorto collo, con un provvedimento riluttante e anche critico nei confronti della Cassazione.

Il pm Angela Pietroiusti e il Ros Carabinieri indagano su Bulgarella, che ha costruito alberghi in tutta Italia e ha conservato importanti interessi in Sicilia, in particolare in una società di navigazione, perché sospettano che parte del suo patrimonio (l’accumulazione primaria, si potrebbe dire) derivi dalla cessione delle sue quote nella società Calcestruzzi Ericina, che fu acquistata dal capomandamento di Trapani Vincenzo Virga. Nell’inchiesta sono state raccolte testimonianze di pentiti di mafia che hanno parlato di rapporti fra l’imprenditore e altri esponenti di famiglie mafiose, fra cui Luca Bellomo, rappresentante di attrezzature alberghiere ma anche marito di una nipote del superlatitante Matteo Messina Denaro, e arrestato per mafia nel 2014. Alcuni rapporti societari e commerciali sono confermati dalla documentazione raccolta nel corso delle indagini. Quanto ai rapporti con il sistema bancario e in particolare con Unicredit, secondo gli inquirenti Bulgarella stava riuscendo, con una difficile trattativa e robusti aiuti dai vertici di Unicredit, ad ottenere una ristrutturazione del suo debito (che oggi è calcolato in circa 70 milioni) e un nuovo finanziamento. Per questo la procura ipotizza a vario titolo, nei confronti di nove persone fra cui Palenzona, i reati di reimpiego di capitali illeciti, associazione a delinquere, appropriazione indebita, truffa, il tutto con l’aggravante di mafia.

Nel suo provvedimento del 31 ottobre 2015 il tribunale del riesame bocciò quasi in blocco gli assunti della procura, ritenendo che non vi fosse neppure il fumus per poter ipotizzare rapporti illeciti fra Bulgarella, la mafia e Unicredit. Così la procura ha dovuto restituire quasi tutta la documentazione sequestrata e l’inchiesta ha subìto una pesante battuta d’arresto finché la Cassazione, con sentenza pronunciata il 5 maggio scorso e motivazioni depositate il 17 giugno, non ha ribaltato il giudizio del tribunale del riesame fiorentino, scrivendo che il decreto di perquisizione e sequestro della procura era sorretto da una «corposa motivazione». C’è da dire che il presidente del collegio di Cassazione che ha deciso sulla questione era Antonio Prestipino, già giudice a latere supplente nel maxiprocesso a Cosa Nostra (l’altro giudice a latere era l’attuale presidente del Senato Pietro Grasso). Si suppone dunque che di mafia e di zone grigie se ne intenda. In ogni caso la Cassazione ha costretto il tribunale del riesame di Firenze a prendere una nuova decisione. E così è avvenuto, anche se i giudici del riesame fanno capire che si inchinano ma non sono affatto convinti. Infatti ribadiscono che a loro giudizio vi è contraddizione fra l’ipotesi di accusa che Bulgarella ricicli capitali illeciti e il suo crescente e rilevante indebitamento bancario, e che – a differenza di quanto afferma la procura – il piano di finanziamento di Unicredit non è mai divenuto operativo. Come nella prima ordinanza, anche in questo nuovo provvedimento non vi è alcun cenno a uno degli indagati, Roberto Mercuri, braccio destro di Palenzona, che pur non avendo alcun ruolo in Unicredit disponeva di un ufficio e partecipava alle trattative con Bulgarella. In ogni caso il tribunale ubbidisce alla Cassazione e conferma, sia pure con riluttanza, il decreto di perquisizione e di sequestro probatorio del 30 settembre 2015. Ora la documentazione sequestrata potrà essere studiata e approfondita.

LA DIFESA.  “Prendiamo atto della decisione del Tribunale del riesame di Firenze, che – nella medesima composizione che a novembre annullò il provvedimento di sequestro a fini di prova – ha confermato, nel giudizio di rinvio dopo la pronuncia della Cassazione, il decreto di sequestro (di sola documentazione) originariamente disposto. In attesa di leggere le motivazioni, che ci riserviamo di esaminare, siamo sin d’ora certi che esse non riguardano in alcun modo la posizione di Andrea Bulgarella e delle sue società rispetto ai fatti contestati, che erano e rimangono di nessun fondamento”. E’ quanto si legge in una nota firmata da i legali di alcuni degli indagati nell’inchiesta della Dda di Firenze. Per i difensori di Bulgarella, di Federico Tumbiolo, di di Salvatore Bosco e di Giuseppe Poma (gli avvocati Tullio Padovani, Giulia Padovani, Andrea Bottone, Francesco Marenghi e Enrico Pucci), la decisione del tribunale “investe esclusivamente il ruolo e il grado di controllo del giudice del riesame sulle iniziative di acquisizione documentale del pubblico ministero, ritenuto di minima consistenza nella sentenza che ha annullato il primo sequestro. Nella prima ordinanza di riesame si rendeva in effetti ragione e giustizia delle insussistenti accuse nei confronti Andrea Bulgarella e degli altri indagati”. Secondo i legali anche “il mutato (e limitatissimo) grado di controllo sui presupposti del sequestro di documentazione ha potuto determinare un diverso risultato, ma non ha cambiato la chiara inconsistenza degli addebiti ipotizzati. Vorremmo sottolineare come tale assoluta inconsistenza non sia stata sottolineata soltanto nell’originario provvedimento di riesame, ma sia stati ripresa anche dalla Procura Generale presso la Corte di Cassazione”. Per la Corte, concludono i difensori citando un passaggio della sentenza, ‘…L’ipotesi accusatoria, secondo cui Bulgarella avrebbe intrapreso le sue attività imprenditoriali nel territorio toscano attraverso il reimpiego di denaro di provenienza illecita con la collaborazione di alcuni dirigenti della banca Unicredit appare talmente in contrasto con le emergenze procedimentali da non poter essere neanche ipotizzata in astratto… le conversazioni intercettate tra i dirigenti della banca, la vicenda della “Calcestruzzi Valderice” o i rapporti commerciali intrattenuti con imprenditori imparentati con persone appartenenti a cosche mafiose, sono, a tutto concedere, non significativi, neutrali, se non addirittura di segno opposto alle ipotesi accusatorie’.