Altra possibile condanna in vista per don Vito Caradonna, ex parroco della chiesa di contrada San Leonardo. Stavolta nel processo che lo vede imputato per circonvenzione di incapace. Al termine della requisitoria, infatti, il pm ha invocato la condanna di don Vito a due anni e mezzo di carcere. Il processo si svolge davanti al giudice monocratico Matteo Giacalone. Alla base dell’accusa c’è un prestito di quasi 70 mila euro che l’ex parroco di San Leonardo chiese e ottenne da un parrocchiano, M.D.G., ex militare della Marina con problemi di salute. E che solo a fine ottobre 2011, dopo alcuni assegni andati in protesto, grazie all’intervento di un legale (l’avvocato Antonino Sammartano), l’ex militare riuscì a riavere i suoi soldi. “Quando il fatto è stato denunciato – replica, però, l’avvocato difensore Stefano Pellegrino (altro difensore è Luigi Pipitone) - don Vito Caradonna aveva già restituito, con atto notarile, il denaro avuto in prestito”. Per venirne fuori, il prete fu costretto a vendere la casa che aveva comprato poco tempo prima proprio con quel denaro. O comunque parte di questo. Nel corso del processo, l’imputato si è difeso dichiarando: “Non ho voluto approfittare di Di Girolamo, né di circuirlo. Avevo bisogno di un prestito perché avevo fatto un mutuo per l’acquisto di un’abitazione. E a garanzia del prestito ho rilasciato degli assegni”. Poi, andati in protesto. Dalla vicenda emerge, intanto, il continuo bisogno di denaro del prete. Altri prestiti, infatti, li aveva chiesti anche ad altri parroci. E cioè all’arciprete don Giuseppe Ponte e al missionario Enzo Amato. E solo un parte del denaro prestato (circa 5 mila euro), disse l’arciprete in aula nell’ottobre 2015, gli era stato restituito. Don Enzo Amato, invece, dichiarò: “Mi chiese un prestito di 45 mila euro per esigenze di parrocchia. Prestito che io gli concessi dopo aver avuto l’avallo del vescovo. Dopo circa un mese, mi restituì il denaro”. Nel marzo 2012, quando scattò l’accusa di circonvenzione d’incapace, il giudice delle indagini preliminari Francesco Parrinello dispose, per don Vito, il divieto di dimora nel Comune di Marsala. Misura cautelare poi revocata. Dall’indagine, condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura e coordinata dal procuratore Di Pisa e dal pm Scalabrini, è emerso che il giovane parroco aveva sempre bisogno di denaro e per questo, spesso, chiedeva prestiti anche ad altri parrocchiani. Da un accertamento alla Camera di commercio, inoltre, è emerso che sono ben 17 gli assegni a vuoto protestati al sacerdote, per un ammontare complessivo di 170.454 euro. E anche la Banca d’Italia ha confermato l’esistenza di “anomalie” nel tourbillon dei crediti - mutui, affidamenti, etc. - accordati al prete. Un continuo bisogno di denaro che ormai l’aveva condotto dentro un vortice che poco aveva a che fare con la sua funzione di “ministro del culto cattolico”. Anzi, questa veste gli sarebbe stata utile per chiedere denaro a chiunque riteneva nelle condizioni di potere aderire alle sue richieste. Non soltanto, quindi, all’ex militare della Marina in pensione con problemi mentali, ma anche ad altri parrocchiani. Come è emerso dalle indagini delle Fiamme Gialle. Tra le persone dalle quali il giovane parroco, ex cappellano del carcere, ha ottenuto denaro (10 mila euro) anche l’avvocato Antonino Sammartano, il legale grazie alla cui intermediazione, la vittima riuscì, dopo parecchio tempo, a rientrare finalmente in possesso del denaro prestato a don Vito. L’ex assessore comunale all’urbanistica, tra i parrocchiani più attivi della borgata, ha anche fornito un importante contributo all’indagine. Il vescovo Domenico Mogavero aveva anche revocato la competenza a gestire i beni patrimoniali della parrocchia di San Leonardo perché don Vito si sarebbe impossessato di oggetti votivi della chiesa per impegnarli.