Confiscati beni per 210 milioni al "re dei detersivi" il cui nome era stato segnato nei "pizzini" ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano. La guardia di finanza ha eseguito il provvedimento emesso dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, presieduto da Giacomo Montalbano, per mettere i sigilli all’impero del 63enne Giuseppe Sammaritano.
Sotto sequestro, dopo le indagini del Gico del nucleo di polizia tributaria che aveva, sono finite le aziende Sicilprodet, Fratelli Sammaritano srl (nella zona di Carini) e le società palermitane Angelo Sammaritano srl e Max Gross, specializzata nella vendita all’ingrosso e al dettaglio di profumi, prodotti per la casa e detersivi.
I sigilli sono scattati anche per il 50% della Gs Distribuzione srl e per alcuni terreni a Partinico. Confiscati pure diversi appartamenti nel capoluogo, tra via Tommaso Aversa, via Niccolò Candela, via Gennaro Pardo e via Belgio, una villa a Trappeto, tre case a San Vito Lo Capo in via Cala Mancina e via Marina, una Mercedes, un'Audi e disponibilità finanziarie per 7 milioni di euro.
Le indagini, coordinate dalla Procura, hanno evidenziato una pesante sperequazione fra redditi leciti e beni aziendali (il cui valore, nel 2001, ammontava a oltre 9 miliardi di lire). Il nome di Sammaritano era noto tra i vertici di Cosa nostra. Il boss Salvatore Lo Piccolo, come riscontrato in un "pizzino" chiedeva aiuto per lavorare con "Sammaritano del Cedi Sisa di Carini”. Il nome di Sammaritano era segnato in uno dei pizzini ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano, nel 2006: il boss Salvatore Lo Piccolo chiedeva un aiuto per lavorare con "Sammaritano del Cedi Sisa di Carini". La vicinanza ai boss non ha comunque esonerato l'imprenditore dal pagamento del pizzo, Sammaritano ha patteggiato una condanna per favoreggiamento, proprio per il suo silenzio sulle richieste dei boss. Un'intercettazione lo ha poi sorpreso mentre commentava un nuovo investimento nella zona di Castelvetrano: "I reali investitori erano dei mafiosi - ipotizza il tribunale - occorrevano le dovute presentazioni e i permessi". La Castelvetrano del superlatitante Matteo Messina Denaro: uno dei soci della Sicilprodet srl di Sammaritano, Salvatore Abate, è risultato essere inquilino del cognato della primula rossa di Cosa nostra, Filippo Guttadauro. Per il tribunale, un altro indizio da tenere in considerazione.
Secondo il tribunale Misure di prevenzione di Palermo, presieduto da Giacomo Montalbano, l'imprenditore palermitano "era disponibile a considerare ogni offerta che veniva dall'ambiente mafioso, in un'ottica di reciproca e pacifica convivenza, non avendo mai disdegnato la protezione e l'aiuto che Cosa nostra poteva offrire alla sue iniziative imprenditoriali". Le indagini del Gico del nucleo di polizia tributaria di Palermo, coordinate dal pm Pierangelo Padova, hanno evidenziato una pesante sperequazione fra i redditi leciti e i beni aziendali (nel 2001, oltre 9 miliardi di lire). Nel 2012, l'impero di Sammaritano era già stato sequestrato dal collegio delle Misure di prevenzione (Silvana Saguto, Fabio Licata e Lorenzo Chiaramonte) poi finito al centro dell'ultima bufera giudiziaria.
L' ex capomafia della Noce, Calogero Ganci, poi diventato collaboratore di giustizia, ha raccontato di aver investito 325 milioni delle vecchie lire in alcuni negozi di Sammaritano: "Era il 1995, portai diverse rate destinate all'attività di commercio all'ingrosso di detersivi nei negozi di via Tommaso Aversa e viale Michelangelo".