E’ rottura tra la Esse Emme e i sindacati della Cigil e della Uil. L’azienda, dopo le confische, la condanna definitiva per mafia di Giuseppe Grigoli (ex re dei supermarcati Despar) e la conduzione “allegra” da parte degli amministratori giudiziari, aveva rilevato dal 2014 i supermercati dell’ex Gruppo 6 con il marchio Sisa, oggi diventato Decò. Ma l’accordo che aveva stipulato con le organizzazioni sindacali è ormai scaduto da tempo, dal momento che era valido per 24 mesi.
Riguardava l’assunzione di tutti i lavoratori (circa 150) anche delle filiali chiuse; l’abbattimento del 5 per cento di tutti gli istituti contrattuali; l’abbattimento del 50 per cento dei permessi lavorativi retribuiti per il primo anno e del 25 per cento per il secondo anno; l’indennità di presenza di un euro al giorno per i lavoratori che svolgono almeno 150 giornate di lavoro in un anno; la costituzione di una banca ore nel limite massimo di 200 annue, dove confluivano le ore straordinarie e supplementari, che se non godute come permessi sarebbero state liquidate al 31 ottobre di ogni anno.
Ad oggi, non solo le eventuali ipotesi di proroga dell’accordo sono in completo stallo, ma il rapporto con due delle principali sigle sindacali (Cgil e Uil) sembra appunto essere quasi del tutto deteriorato. Il 2016 volge ormai al termine e pare che non ci siano segnali positivi di dialogo.
A fine novembre scorso, la Filcams Cgil e la Uiltucs Uil Trapani denunciavano che “Non solo i lavoratori non sono stati ancora tutti assunti, ma già alcuni di loro sono stati incomprensibilmente licenziati”.
La questione non è di poco conto e non riguarderebbe il comportamento di un lavoratore qualsiasi, perché tra i tre licenziati di punto in bianco, c’è anche un rappresentante sindacale.
Cigl e Uil avevano manifestato la loro indignazione per l’atteggiamento dell’azienda nei confronti dei dipendenti, dicendosi “pronti a intraprendere azioni volte a tutelare i diritti di coloro che sono stati artatamente licenziati”.
Anselmo Gandolfo (Cgil) e Mario D’Angelo (Uil) avevano perfino chiesto l’intervento del prefetto di Trapani, sottolineando come “la nuova gestione, all’insegna della legalità e del rispetto dei diritti, doveva assicurare il lavoro. Invece assistiamo a comportamenti complessivi che ci lasciano non solo basiti, ma che evidenziano anche una palese ostilità nei confronti di coloro che sono vicini o che rappresentano attivamente i sindacati”.
Matteo Sottile, amministratore della Esse Emme, aveva risposto che i tre lavoratori in questione erano stati licenziati a causa di gravi violazioni, aggiungendo anche che l’atteggiamento delle organizzazioni sindacali non era condiviso nemmeno “dagli stessi lavoratori del Centro Commerciale di Belicittà in Castelvetrano. Ciò è tanto vero – aveva proseguito - sol che si consideri l’emorragia di iscritti dalla FILCAMS CGIL che hanno dirottato le loro adesioni alla FISASCAT CISL di Palermo – Trapani.”
L’impressione è, purtroppo, quella del classico “colpirne uno per educarne cento”. In questo caso è come se ne avessero colpiti tre per educarne 109, che sono i lavoratori di cui l’azienda si sta facendo carico su sollecitazione dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Tra i tre, il colpo simbolicamente ben assestato è quello relativo al licenziamento del lavoratore RSA, che potrebbe avere gravi conseguenze se Cgil e Uil procedessero con una denuncia per “condotta antisindacale”.
Al di là della Esse Emme, dei sindacati e dell’Agenzia dei beni confiscati, rimane il malcontento per un’azienda fallita durante l’amministrazione giudiziaria affidata ad un gruppo di commercialisti, evidentemente non in grado di mandare avanti una realtà così grande e complessa.
Il dubbio, visto gli inquietanti accadimenti, è che non sia in grado nemmeno la Esse Emme e che la palla possa passare nuovamente all’Agenzia per l’ennesima ricerca del grande gruppo che risolva ogni cosa.
Una complessità che si mischia con le tante sfaccettature di un sud complesso, quasi sempre mosso più dalla paura di perdere il posto di lavoro (chi ce l’ha) che dal difendere i propri diritti. E allora basta poco per convincere gli operai a transitare nelle organizzazioni sindacali meno in attrito con i datori di lavoro.
Anche perché le sindacalizzazioni della Gruppo 6 hanno avuto una genesi precisa, rappresentando l’unico strumento per difendersi dalle temibili “riorganizzazioni aziendali”, i declassamenti di mansione, le mani su ferie e permessi, fino al pericolo di licenziamento da parte degli amministratori giudiziari. L’iscrizione al sindacato è stata dall’inizio una scelta che non sarebbe onesto considerare come una sorta di nuova coscienza del lavoro, finalmente libera dall’oppressione illiberale di Grigoli.
Paradossalmente, gli ex lavoratori della Gruppo 6, ci diranno che con Grigoli lo straordinario veniva pagato regolarmente e la comprensione su permessi e ferie era massima. Ed il ricorso all’omertà e alla sottomissione sarebbe un madornale errore, semplicemente perché avrebbero ragione.
E perché oggi lo Stato non è riuscito a presentarsi con una faccia migliore.
Grigoli è stato condannato per mafia, non perché facesse lavorare in nero gli operai o perché sottopagasse i propri dipendenti. Nel rapporto con i lavoratori era migliore di molti altri imprenditori. Ecco perché, al di là dei bei discorsi di facciata, alla fine è prevalsa quella temuta equivalenza: la mafia ci dava lavoro e lo Stato ce lo ha tolto.
Egidio Morici