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15/01/2017 06:40:00

L'anniversario del sisma nel Belice. La ricostruzione tradita, tra retorica e malaffare

Il 1968 anche in Italia, come nel resto del pianeta, fu un anno di contestazione sociale, politica e culturale. Ma nella Valle del Belìce a ribellarsi ci si mise pure il sottosuolo. La terra tremò per infiniti lunghissimi minuti, suddivisi per diversi mesi in una sequenza sismica durata un'eternità, sino a febbraio del 1969.

 

La scossa principale, la più devastante, con una magnitudo stimata di 6.3, si registrò alle 3.01 del mattino del 15 gennaio. Ci mise del suo anche il clima meteorologico. Uno strato di neve ricopriva ogni superficie. A Salemi quasi subito le strade si riempirono di gente terrorizzata, avvolta in coperte, alcuni in pigiama, tutti in cerca di una via di fuga. Il pianto di bambini si confondeva con i lamenti di persone anziane, alcune trasportate a braccia dai congiunti su brande metalliche o barelle improvvisate. Si formò una lunga processione di persone che dal centro abitato avanzava nel buio più pesto verso le contrade di campagna. L'assenza della corrente elettrica rendeva tutto più difficile. I fari delle poche macchine che transitavano, squarciando le tenebre, proiettavano verso il cielo le lunghe ombre dei fuggiaschi dava per certo l'imminenza dell' Apocalisse.

Eppure le prime avvisaglie si erano avute il giorno precedente, una fredda e solare domenica di gennaio. La prima scossa si fece sentire mentre veniva consumato il pranzo domenicale, alle 13, 28 circa. I più previdenti abbandonarono sulle tavole i piatti ancora pieni della pasta a forno. Sarà ritrovata ammuffita dopo alcune settimane. Ebbe inizio cosi' una lunga sequenza di eventi, di cui tre con magnitudo fra 4.9 e 5.2. Saranno 79 gli eventi fino al 25 gennaio. Una forte replica di magnitudo Mw=5.5 si ebbe il 25 gennaio, quando ormai la gente pensava che tutto fosse finito. Basti pensare che dalla fine di gennaio al 1° giugno dello stesso anno furono registrati dall’Università di Messina ben 65 terremoti con magnitudo M≥3 e circa un migliaio di repliche con magnitudo M≥2.

Ad essere interessata fu una vasta area compresa fra le province di Agrigento, Trapani e Palermo, poi definita col termine di Valle del Belice. Un forzatura. Vi furono inclusi comuni che nulla avevano a che fare con quell'area geografica. E' il caso di Salemi, Vita e Calatafimi. Una collocazione arbitraria che molto a contribuito alla perdita d' identità di alcuni comuni. Il caso più clamoroso quello di Salemi, che deve ancora ritrovare l' anima perduta tra le pietre del tempo.

Il terremoto provocò gravissimi danni in diversi comuni. Alcuni paesi furono spazzati via. La violenza della natura ebbe gioco facile. Case costruite spesso prive di fondamenta, con materiali primitivi, calce, mattoni, travi in legno marciti, canne rinsecchite, crollarono come fuscelli. Si contarono alla fine 352 morti e 576 feriti, mentre i senzatetto furono 55.700. Un terremoto, tutto sommato, di ordinaria potenza in Giappone, rivelatosi una autentica catastrofe in Italia, dove ancora si era all'anno zero per studi sismologici. Basti pensare che ancora oggi non sappiamo con certezza qual e' stata la falda a cedere e la sua profondità.

Presto si avviò la gara per ampliare l’area danneggiata. Tanti comuni, grazie al padrinaggio del politico di turno, ambirono ad essere inseriti nell'elenco della fascia principale. Avrebbero avuto diritto a più cospicui finanziamenti. L' area d'intervento fu destinata ad allargarsi. Un vastissimo triangolo i cui punti ricadevano sulle tre provincie di Agrigento, Trapani e Palermo, da est, ad ovest, da Menfi a Salemi, attraverso Partanna e Santa Ninfa e dal nord- ovest di Roccamena a sud -est di Santa Margherita, attraverso Poggioreale e Salaparuta.

E dove non l'ebbe vinta il terremoto, intervenne l'uomo a completare l'opera di distruzione. Emblematica la sorte subita dalla Chiesa Madre di Salemi (vedi foto). Il Tempio, risparmiato dalla magnanimità del sisma, fu buttato ignominiosamente giù a colpi di strattoni da parte di grossi cavi metallici legati ad un cingolato. In effetti ad essere danneggiati furono solo i contrafforti dell'edificio con un lieve squarcio nella parte laterale. Insomma la chiesa poteva essere restaurata, come lo fu il vicino Collegio gesuitico che si salvò dalla distruzione grazie ad una diversa gestione del tempio e alla presenza di un comitato cittadino. Le responsabilità di cotanto scempio se le rimpallarono, dopo e per molti anni, l' Amministrazione comunale, il Genio Civile e la Gerarchia cattolica. Una cosa e' certa. Il “nulla osta” della Curia ci fu, come ci fu l'interesse di dimostrare che la città era stata colpita più di quanto non lo fosse stato nella realtà . Il fine, come si e' detto prima, era l'ambito inserimento nella fascia "A" consentendo così di accedere ai fondi più cospicui. Dopo il sacrilego abbattimento della Matrice, non si ebbero più notizie del magnifico coro ligneo che stava circolarmente alla base dell'abside. Smontato pezzo dopo pezzo da abili e competenti mani fu trafugato per approdare, forse, in saloni della nuova e rapace borghesia palermitana . Oggi ne rimane una piccola porzione. C'è stato anche questo, nella storia infinita della ricostruzione del Belice. Una storia cupa fatta "di città senza una memoria, di piscine asciutte e di strade che non vanno in nessun posto", come e' stato scritto ripetutamente.

 

Cambiarono abitudini, usi e modi di pensare. La data del 15 gennaio 1968 fu destinata a diventare un spartiacque nel tempo, un “prima” e “dopo” il terremoto. Paesi come Gibellina, Santa Ninfa, Vita, Salaparuta, Poggioreale, fino ad allora pressoché sconosciuti, sarebbero entrati nel dizionario di tanta gente, ma anche nell’immaginario collettivo come sinonimo di disastro non solo naturale, ma anche sociale. Ma soprattutto come paradigma di come non deve essere la ricostruzione di una zona colpita da un sisma. Nella pubblicistica nazionale, in occasione dei successivi terremoti, la frase ricorrente sarebbe stata infatti: non fare la fine della Valle del Belìce.

Nel corso di questi lunghi anni una vastissima letteratura si e' prodotta. Fiumi d' inchiostro consumati, interminabili dibattiti in Parlamento, commissioni d'inchiesta, dossier, articoloni indignati di grandi firme dei maggiori quotidiani nazionali, progetti faraonici di ricostruzione e soprattutto promesse dietro promesse mai mantenute.

 

La prima delle quali fu il famigerato "pacchetto Colombo". Lo venne a pubblicizzare il Primo Ministro in persona a Salemi in una Piazza Alicia gremitissima di gente proveniente da tutti i centri colpiti dal terremoto. Su un mega palco di regime, paradossalmente allestito davanti ai ruderi della Matrice, abbattuta dalla mano dell'uomo e non dalla violenza del sisma, e stracolmo di politici, tra cui primeggiava l'allora doroteo Ignazio Salvo, a rendere gli onori di casa, Emilio Colombo promise, di tutto e di più. Iniziava così, in una scenografia felliniana, la fiera delle offerte destinata a durare per mezzo secolo. Ultima delle quali, quella di Renzi alla vigilia del recentissimo referendum.

Di una cosa si può essere sicuri. A 49 anni dalla catastrofe sismica non si possiedono numeri certi che possano dare un'idea degli stanziamenti realmente utilizzati per ricostruzione. Spesso, infatti, i fondi furono dirottati per una serie di infrastrutture destinate all'intera Sicilia Occidentale, che nulla avevano a che vedere con la zona colpita.

 

Nel frattempo si orchestrava una campagna"razzistica" che tendeva a squalificare le capacità gestionali dei sindaci, in quanto siciliani, a prescindere dalla loro collocazione politica. La Lega ebbe gioco facile. Ma molti fecero finta di non sapere che per gran tempo il processo della ricostruzione fu accentrata nelle stanze ministeriali, dove la faceva da padrone l'Ises, un Istituto che aveva debuttato alcuni anni prima per la costruzione del quartiere Villaseta ad Agrigento, dopo la famigerata frana, a cui fu assegnato ora il compito della ricostruzione di nuovi fabbricati e il trasferimento di ben quattro paesi. Una scelta che poi si rivelerà disastrosa con scelte operate lontanissime dalle esigenze reali delle popolazioni. A cui poi venne affiancato l'ISES. un altro carrozzone regionale. In pratica tutto venne accentrato da questi due elefantiache istituzioni dalle cui decisioni gli enti locali veniva sistematicamente tagliati fuori. Una pianificazione accentrata che non lasciava spazio alle istanze delle popolazioni.

Inoltre bisogna considerare che il terremoto del Belice ha scontato il fatto di essere stata la prima grande calamità naturale del dopoguerra. Una cavia, per certi versi. E i risultati sono stati sotto gli occhi di tutti.

I sinistrati per lungo tempo rimasero nelle tendopoli ( foto). Tantissimi furono gli anni vissuti nelle baraccopoli (foto) , spesso costruite con l’amianto. Cominciarono ad essere smantellate verso la fine degli anni '80.

 

Un capitolo a parte le baraccopoli. L'allora ministro il 20 gennaio del '68 dichiara: "...ogni complesso di baracche disporrà di tutti i servizi necessari... il materiale che serve alla costruzione può essere garantito per un anno, dopo di che potrebbe cominciare a sfaldarsi." Mai parole furono cosi profetiche. Dopo alcuni mesi un giornale scrive: "Oggi le baracche sono fradice, i pavimenti sfondati, l'acqua penetra dal tetto e dalle finestre. Mancano i servizi di pronto soccorso. Si costruiscono ancora baracche dove si sa che rimarranno vuote. Non si costruiscono dove ne mancano.".  Una settimana dopo la Procura della Repubblica di Trapani are un'indagine sulla mafia delle baracche, mentre il tribunale di Marsala processa 27 terremotati per "avere occupato il municipio di Salemi". Chiedevano case e lavoro ma sono accusati di "delitto di blocco stradale."
A Salemi, tanto per continuare, furono costruite ben 1.800 baracche. Un affarone per le ditte, alcune salemitane. Dopo poco tempo le due baraccopoli di Giammuzzello e Cuba vengono dichiarate inabitabili. Questa la relazione del perito il noto medico Pagliuso, ufficiale sanitario di Salemi: "Le baracche sono in pessime condizioni igienico-sanitarie ... presentano pareti e soffitti nerastri per l'umidità. I pavimenti hanno larghe. e profonde buche. Dei tappeti di plastica non restano che pochi brandelli... tutte le baracche in parola sono inabitabili e di grave nocumento alla salute di chi le abita."Anche l'ufficio tecnico rincara la dose: "I pavimenti non hanno resistito, si notano sconnessure, snellimenti e infiltrazioni delle acque, le sovrastrutture dei tetti si sono stiracchiate lasciando filtrare la pioggia. Gli impianti idrici e fognanti lasciano fuoruscire le acque. I pavimenti sono soggetti a infiltrazioni di acque esterne". Ma nessuno paga. Le 122 baracche di Cuba e le 40 di Giammuzzello ufficialmente inabitabili continueranno ad essere abitati. Nessuno rispose alla ovvia domanda del perché scelsero un'area franosa come quella di Cuba. Ci si mese pure il maltempo ad infierire. Nel settembre dello stesso anno 17 baracche vengono scoperchiate. La frana incombe su tutta la baraccopoli. L' 8 dicembre 25 baracche distrutte. Il sindaco decreta l'evacuazione. Ma dove dovevano andare le famiglie? Sono rimaste in quell'inferno. La situazione generale in tutta la Valle era questa: 46 baraccopoli, 95.000 persone in baracca, l'equivalente di 22.000 famiglie. Le baracche in totale erano 24.000 costate 60 miliardi di lire. Il Belice divenne la Palestina d'Europa.

 

Per capire meglio come procedevano le cose nell' anno di grazie del 1968, riportiamo un dialogo dall'amaro sapore pirandelliano, ricostruito sulla base di autentiche notizie di stampa

Chi ha scelto la zona Cuba? Il vice prefetto Mancuso: "Non lo so."  L'ing. Natoli del Genio Civile: "è colpa del comune, non sapevamo che la zona fosse così esposta ai venti",Il comune: "Noi abbiamo segnalato l'area, ma poi il genio civile..." 
L'assessore DC alla P.I.: "40 giorni fa non me la sentivo di firmare il verbale di consegna ... un bel mattino altri amministratori hanno accettato le baracche com'erano." Dopo alcuni giorni Du ChaIiot, allora capo del genio civile di Trapani, poi promosso capo del provveditorato alle OO.PP. in Sicilia, scrive al sindaco Grillo: "Prima di passare all'esproprio questo ufficio chiede la visita di un geologo onde esaminare l'idoneità dei terreni." Si scopre cosi' che in nessuna baraccopoli era stata mal fatta una indagine geologica preventiva. Un quadro, come si vede, che la dice lunga sul modus operandi. Un interminabile sequenza di scaricabarile, un balletto indecoroso di assenza di responsabilità.

 

E tuttavia in quella stessa zona anni dopo verrà costruito un lotto di case popolari. Oggi versano in condizioni pietose. Non funziona nemmeno la pompa di sollevamento delle acque fognarie. Quando piove si allaga tutto.

Ma per assegnare le case popolari ai cittadini fu necessaria una lotta molto dura da parte della gente lasciata ancora inspiegabilmente nelle baracche. Assegnazioni che si promettevano ad ogni scadenza elettorale. Durante una notte gelida invernale , spinti dalla disperazione le case ultimate e mai assegnate furono occupate quasi tutte. Intervennero le forse dell' ordine. Invano. Difficilmente si può fermare un popolo quando prende coscienza di un diritto negato. Il Prefetto ordino' la costituzione di una commissione comunale paritetica. A presiederla l' assessore democristiano Vincenzo Pierucci. Un sindacalista in grado di "portare" al Comune almeno tre consiglieri. Dopo qualche il potente politico fu assassinato nei pressi della propria villa a San Ciro. Un omicidio dai contorni banali quanto misteriosi, rimasto impunito, come quello di un altro consigliere comunale, socialista e titola di una grossa impresa, massacrato davanti la propria abitazione in una calda notte d'estate. Due assassini eccellenti di cui nulla si e' più saputo. Ma questa e' un'altra storia.

 

Una storia infinita quelle della ricostruzione Belice. Un autentico dramma consumato sulla pelle dei cittadini con la costante presenza della mafia, con scelte urbanistiche discutibili, che sconvolgevano l’assetto tradizionale scimmiottando criteri architettonici del Nord Europa.

 

Le tanto criticate new town berlusconiane dell'Aquila, ebbero qui il, loro debutto. Interi paesi ricostruiti a decine di chilometri distanti dal sito originario, spesso in terreni non salubri, di proprietà di boss o di loro protetti. Se poi si aggiunge l'insufficienza dei fondi, sempre centellinati, strappati a seguito di scioperi e manifestazioni, il quadro del dramma consumato nel Belice risulta chiaro a tutti. Una grande catastrofe naturale, la prima del dopoguerra, destinata a diventare una catastrofe politica e sociale.

In tutti gli altri comuni, quelli cosiddetti “a parziale trasferimento”, dando ai cittadini la possibilità di abbandonare le case danneggiate del centro storico per costruirne di nuove in periferia. In certi casi, mega ville nelle zone di villeggiature, molte case del centro storico sono passate nella disponibilità dei comuni. E qui casca l'asino. Le amministrazioni non hanno i fondi per una nuova urbanizzazione per risanarlo o addirittura di mettere in sicurezza i fabbricati lasciati all'incuria. Con il rischio che crollino da un momento all’altro. Considerazioni fin troppo ovvie, visto che in mezzo secolo non si è provveduto né a ristrutturarle e nemmeno ad abbatterle.

Se poi si aggiunge l'insufficienza dei fondi, sempre centellinati, strappati a seguito di scioperi e manifestazioni, il quadro del dramma consumato nel Belice risulta chiaro a tutti. Una grande catastrofe naturale, la prima del dopoguerra, destinata a diventare una catastrofe politica e sociale.

Ma, a questo punto, al netto delle ruberie e malversazioni, e' giusto sfatare certi luoghi comuni che tendono a dipingere la zona terremotata come una macchina infernale mangiasoldi. Facciamoli allora quattro conti. Forse non tutti sanno che ogni volta che ci fermiamo al distributore di carburanti, noi finanziamo ancora la ricostruzione del Belice. Avviene da 50 anni, da quando cioè nel 1968 il governo di Aldo Moro introdusse un’accisa sui carburanti. Ogni litro, 10 lire erano destinati per ricostruire il Belice. Da questo prelievo forzato lo Stato, fino a tutto il 2016, ha incassato 24,6 nominali. Quant’è costata la ricostruzione, fino ad oggi? Secondo i dati divulgati dal consiglio nazionale degli ingegneri la cifra ammonterebbe 9,1 miliardi di euro, circa. Vero e' il virtuoso Friuli concluse la sua ricostruzione in sette anni. Ma e' pure vero che ha potuto contare su 29 mila miliardi di lire. Mentre nel Belice abbiamo pagato una disparità di trattamento insopportabile da parte di tutti i governi succedutisi nel corso degli anni. Lentezza e inferiorità dei finanziamenti che ammonterebbero a 12 mila miliardi di lire circa. "Meno della metà a parità di danni e di territorio”, come si e' espresso di recente un sindaco della Valle.

 

E cinquant’anni dopo mancano ancora trecento milioni di euro. 150 milioni per le opere pubbliche ed altrettanti per gli immobili privati. Denaro che il governo centrale ha promesso da una decina d’anni ma non ha mai erogato.

A certificarlo è la risoluzione approvata dalla Commissione Ambiente del Senato il 2 novembre sorso che impegna il governo a “concludere l’annosa vicenda della ricostruzione post-sismica della valle del Belice, ivi inclusa la realizzazione di un programma di bonifiche ambientali per lo smaltimento dell’amianto e dell’eternit dei baraccamenti costruiti nei comuni della valle”. «Tante le opere compiute ma anche molte che ancora attendono un loro completamento - ha affermato il suo presidente Marinello, - occorre predisporre un piano urgente per prevenire i fenomeni di dissesto, avviare interventi di restauro di beni architettonici di grande pregio, attivare un serio piano di riqualificazione ambientale e, infine, stabilire la realizzazione di quelle opere di urbanizzazione primaria la cui assenza rende inagibili interi quartieri».

 

Dunque, a quasi 50 anni di distanza, la normalità, nella Valle del Belìce, è ancora sogno nel cassetto. Un recente il dossier «sullo stato della ricostruzione post terremoto del gennaio 1968», redatto nel gennaio scorso dal Coordinamento dei Sindaci, di soldi ne sono stati stanziati, molti, ma solo sulla carta. Vi si legge che nel periodo compreso fra il 1968 e il 1995, ad esempio, «i governi hanno autorizzato con legge 3.100 miliardi di lire destinati alla ricostruzione, dei quali solo 2.272 erano stati erogati».

 

Manifestazioni per il 49^ anniversario. Anche quest’anno, il Coordinamento dei Sindaci della Valle del Belice, ha elaborato un programma di manifestazioni che si effettueranno in diverse cittadine del territorio belicino.

Si commemoreranno le vittime del sisma . Siamo lontani dagli anniversari di lotta dei primi anni. La sfiducia e la stanchezza ormai hanno superato il limite. La retorica delle ultime edizioni lascia il posto al raccoglimento spirituale. Del resto proprio in questi ultimi mesi e' venuto a mancare Vincenzino Culicchia, sindaco di Partanna per decenni e uno dei protagonisti della ricostruzione. Quale migliore occasione per ricordare anche la sua figura? Lo stesso Coordinatore dei Sindaci Nicolò Catania, uno dei successori di Culicchia, e' consapevole che un' epoca e' tramontata, mestamente ha dichiarato che “non si può nascondere, nonostante tutto, l’amarezza che ancora ci assale per non aver avuto l’opportunità di poter mettere fine, a distanza di quarantanove anni, a questa ormai vergognosa vicenda relativa alla questione Belice.'

Che stia calando il sipario su una vicenda durata mezzo secolo? Ce lo auguriamo, consapevoli che essa non ha più nulla da raccontare alle nuove generazioni. Che, del resto, sono fuggite da tempo verso altre terre. Fortunati per non avere mai sentito parlare dei famigerati 30mila posti di lavoro promessi dal fantomatico "pacchetto Colombo".

 

Franco Ciro Lo Re