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29/03/2017 00:00:00

Cosa Nostra, gli studiosi: "Si sta sgretolando ed è in crisi di vocazioni e credibilità"

"Cosa nostra si sta sgretolando. Non si sa cosa potra' derivare da questo processo di mutamento ma e' importante valutare i nuovi punti deboli della mafia "per colpirla definitivamente e distruggere questo cancro che affligge da secoli la nostra societa". Lo ha detto Antonio La Spina, sociologo della Lumsa di Roma, intervenuto alla conferenza del progetto educativo del Centro Pio La Torre sul tema: "L'espansione e la trasformazione delle mafie".

"Tra i vari mutamenti che si registrano vi e' un ridotto controllo del territorio - ha continuato La Spina - testimoniato dall'aumento dei reati comuni, dalla diffusione delle mafie etniche e dall'utilizzo di manovalanza straniera, un sintomo di 'crisi di vocazione' da parte dei giovani siciliani". Da qualche anno poi non si compie quasi piu' il rito di affiliazione chiamato "punciuta", giuramento di sangue con il quale si conferma la propria adesione alla mafia. Gli uomini de disonore, ha concluso La Spina, si presentavano un tempo come degni di rispetto, pieni di potere economico, sociale e politico.

Oggi, nella gran parte dei casi, non hanno questa credibilita'. La mafia si e' indebolita dunque dall'interno, ma anche dall'esterno per i successi delle investigazioni: "Cio' non vuol dire che sia finita, ma va registrato questo mutamento considerevole". Tra i vari fattori di mutamento delle mafie anche la loro espansione in territori diversi da quelli in cui si sono storicamente radicate.

"La crescita della presenza di gruppi mafiosi al Nord - ha sottolineato Rocco Sciarrone, docente di Sociologia dell'Universita' di Torino - non e' avvenuta in concomitanza dei grandi flussi migratori degli anni '50 e '60, ma si e' manifestata quando sono giunti a maturazione fattori interni alla stessa societa' settentrionale. In particolare: l'importanza che assume il traffico degli stupefacenti, l'espansione della dimensione finanziaria e speculativa del capitalismo italiano e la congiunzione tra questo "capitalismo d'avventura" e il capitale accumulato nel traffico di stupefacenti dai gruppi mafiosi".

"Piu' rilevanti - ha continuato Sciarrone - sono stati i flussi attivati specificamente da mafiosi che hanno poi richiamato altri soggetti criminali nell'area di nuovo insediamento, costituendo gruppi organizzati dediti ad attivita' delittuose. I mafiosi hanno cercato punti di riferimento tra gli immigrati meridionali non tanto per godere di una sorta di solidarieta' "etnica", quanto per accreditarsi come mafiosi ed essere riconosciuti come tali. Nei confronti dei propri compaesani e corregionali immigrati - ha concluso Sciarrone - i mafiosi si sono posti - anzi, in molti casi imposti - come mediatori e protettori, ad esempio controllando il reclutamento di manodopera in alcuni segmenti del mercato del lavoro, accreditandosi cosi' sia tra la forza lavoro immigrata sia tra i datori di lavoro autoctoni". (AGI)