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17/05/2017 07:29:00

Salta la prima udienza preliminare per Michele Licata e famiglia. Difetto di notifica

 E’ saltata la prima udienza preliminare fissata per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Procura di Marsala per Michele Licata, ex imprenditore leader del settore ristorazione-alberghiero, travolto da un’indagine per evasione fiscale, truffa allo Stato e malversazione, e suoi sei familiari accusati di ricettazione. Michele Licata è già stato condannato a 4 anni 5 mesi e 20 giorni di carcere. Condannate, per alcuni capi d’imputazione, anche le figlie Clara Maria e Valentina, imputate per ricettazione anche in questo secondo procedimento insieme al padre, alla madre, Maria Vita Abrignani, alla sorella Silvia, alla nonna Maria Pia Li Mandri e a Roberto Cordaro, marito di Valentina. A difenderli, oltre a Sbacchi, anche Stefano Pellegrino e Carlo Ferracane.

Secondo l’accusa, Michele Licata, per evitare altri sequestri, avrebbe versato somme di denaro sui conti correnti dei suoi familiari. L’udienza preliminare è stata rinviata (al 20 giugno) per un’eccezione di “nullità” relativa alla notifica all’avvocato Gioacchino Sbacchi. Eccezione sollevata dall’avvocato Stefano Pellegrino, che insieme al noto penalista palermitano difende le tre figlie di Michele Licata. Altro difensore degli indagati è l’avvocato Carlo Ferracane, storico difensore di Licata. Questo secondo filone d’indagine è nato cercando il “tesoro” di Michele Licata. E’ stato così che la Guardia di finanza (Nucleo di polizia tributaria di Trapani e sezione di pg della Procura), nell’ottobre 2015, ha sequestrato denaro contante per 50 mila euro e assegni per circa un milione e 200 mila euro. E proprio in quel momento finì indagato l’intero nucleo familiare di Michele Licata. Per auto-riciclaggio e ricettazione.

Dall’inchiesta, infatti, è emerso che Michele Licata, per evitare, secondo l’accusa, di subire ulteriori sequestri, avrebbe tolto somme di denaro dai sui conti correnti per versarli su quelli di suoi familiari (la moglie Maria Vita Abrignani, la madre Maria Pia Li Mandri e la figlia Silvia) fino a quel momento non indagate, ma per questo chiamate a rispondere del reato di ricettazione, come pure la figlia Valentina e il genero Roberto Cordaro. Il reato di ricettazione sarebbe stato commesso in danno di alcune loro stesse società, dalle cui casse sarebbe stato prelevato denaro (circa 10 milioni di euro) poi depositato sui loro conti correnti personali. L’indagine delle Fiamme Gialle fu coordinata dall’allora procuratore Alberto Di Pisa e dal sostituto Antonella Trainito.