La Direzione distrettuale antimafia di Palermo non ha proposto appello alla sentenza con cui il gup di Palermo Roberto Riggio ha condannato (a un anno di reclusione, pena sospesa) il campobellese Aldo Roberto Licata, fratello dell’ex assessore provinciale Doriana Licata e nipote dell'ex patrona di Valtur Carmelo Patti (defunto) per semplice corruzione elettorale e non per voto di scambio politico-mafioso come, invece, chiesto dalla pubblica accusa.
La Dda contestava ad Aldo Roberto Licata, arrestato nell’operazione antimafia “Eden” del 13 dicembre 2013, di aver comprato voti dalla mafia per la sorella, candidata all’Ars nel 2012 per il “Partito dei siciliani-Mpa” di Raffaele Lombardo. Il gup Riggio, lo scorso anno, ha derubricato il 416 ter in “semplice” corruzione elettorale. Ci si attendeva, perciò, che la Dda proponesse appello per ottenere una condanna per l’ipotesi di reato più grave. Per Aldo Licata, quindi, il 416 ter è, di fatto, definitivamente tramontato.
E’ quanto emerso, in Tribunale, a Marsala, durante il processo collegato al caso Licata che per voto di scambio politico-mafioso vede imputato il 37enne campobellese Pietro Luca Polizzi, anche lui arrestato nell’operazione “Eden”, che di Licata è stato anche autista. Dall’indagine è venuto fuori che un voto sarebbe costato 50 euro. E un pacchetto di 500 voti era in vendita anche con lo sconto, a 15 mila euro. “Duemila ora e tredicimila a cose fatte” spiegava Nicolò Polizzi, già condannato con l’abbreviato, al figlio Pietro Luca. Per l’approdo (mancato) all’Ars di Doriana Licata, Polizzi junior avrebbe calcolato una “spesa” di circa 200 mila euro. Anche se non è chiaro se quella cifra fosse per comprare i voti o per le spese elettorali. A difendere Pietro Luca Polizzi è l’avvocato calabrese Renato Vigna.