Il Tribunale del Riesame di Palermo deciderà il prossimo 5 giugno sulle richieste difensive di rimettere in libertà, o comunque di attenuare le misure cautelari (domiciliari), nei confronti dei 14 presunti mafiosi arrestati all’alba del 10 maggio scorso nell’operazione “Visir”.
Un’indagine, quella condotta da Dda e carabinieri, che ha fatto scattare le manette ai polsi di presunti capi e gregari della ricostituita “famiglia” mafiosa di Marsala-Petrosino. Con l’operazione “Visir” sono finiti in carcere il nuovo presunto “reggente” della “famiglia” marsalese, Vito Vincenzo Rallo, pastore, già tre condanne definitive per mafia sulle spalle, il suo luogotenente Nicolò Sfraga, Calogero D’Antoni, Vincenzo e Alessandro D’Aguanno, padre e figlio, Giuseppe Giovanni Gentile, l’imprenditore Michele Giacalone, Massimo Salvatore Giglio, Simone Licari, Ignazio Lombardo, Michele Lombardo, anch’egli imprenditore, Aleandro Rallo e i mazaresi Andrea Antonino Alagna e Fabrizio Vinci. A difenderli sono gli avvocati Luigi Pipitone, Stefano Pellegrino, Paolo Paladino, Vito Cimiotta, Diego Tranchida, Daniela Ferrari, Salvatore Albigiani.
Intanto, emergono altri particolari relativi all’indagine. E in particolare anche i contrasti tra i D’Aguanno e i fratelli Antonio e Massimo Sfraga, grossisti del settore ortofrutta nel versante sud marsalese, la cui vorticosa ascesa imprenditoriale sarebbe avvenuta sotto l’ala della mafia corleonese in accordo con il clan camorristico dei Casalesi.
Alla base del “contrasto”, nel settembre 2015, la richiesta avanzata da Alessandro D’Aguanno agli Sfraga di consegnare i 10 mila euro provenienti “da un soggetto – si legge nell’ordinanza dei 14 fermi – che veniva indicato come il trapanese”. Denaro che sarebbe stato versato come “messa a posto”. Gli Sfraga, però, nonostante una lunga “trattativa” condotta da Nicolò Sfraga (che non è parente di Antonio e Massimo), non hanno ceduto alla richiesta. Alla fine fu Simone Licari a far capire chiaramente ai D’Aguanno che i fratelli Sfraga godevano di protezioni mafiose ad alto livello e loro dovevano lasciar perdere. E che se avevano bisogno di soldi, dovevano andare “là sopra”. Un chiaro riferimento, secondo gli investigatori, a Vito Vincenzo Rallo, che abita a Ciavolotto.