A sparare contro il maresciallo Silvio Mirarchi e l’appuntato Antonello Massimo Cammarata sarebbero stati in due. Come ha raccontato il militare scampato alla pioggia di fuoco e come dimostrano anche i bossoli trovati a terra, appartenenti a due armi differenti: una semiautomatica in uso alle forze militari ed una calibro 38.
Sul banco degli imputati, però, al momento, c’è un solo presunto assassino, il 46enne bracciante agricolo e vivaista marsalese Nicolò Girgenti, rinviato a giudizio dal giudice delle udienze preliminari di Marsala Sara Quittino. Il processo inizierà davanti la Corte d’assise di Trapani il prossimo 14 luglio.
Il sottufficiale fu ferito a morte con un colpo di pistola la sera del 31 maggio 2016 nelle campagne di contrada Ventrischi, mentre con l’appuntato Cammarata era impegnato in un appostamento (volto a contrastare furti) nei pressi di una serra all’interno della quale furono, poi, scoperte 6 mila piante di canapa afgana. Sette sarebbero stati, secondo gli inquirenti, i colpi di pistola esplosi da almeno due persone contro i due militari. Girgenti fu arrestato il successivo 22 giugno a seguito delle risultanze investigative del Comando dei carabinieri di Trapani e degli accertamenti del Ris di Messina, secondo i quali bracciante era nella zona dei fatti all’ora della sparatoria. La sua auto, quella sera, sarebbe transitata dalla strada in cui fu ucciso Mirarchi.
Addosso, inoltre, gli furono trovate tracce di sostanze (nichel e nichel-rame) che, secondo l’accusa, sono presenti nella polvere da sparo. Anche se, secondo la difesa, potrebbero essere ricollegate all’uso dei fertilizzanti maneggiati nella sua attività lavorativa. Anche se il gip Annalisa Amato si è già mostrata di parere opposto nel provvedimento con cui, lo scorso 6 febbraio, ha rigettato l’istanza con cui la difesa aveva chiesto la scarcerazione. Secondo l’accusa, la sera del 31 maggio 2016, all’arrivo del maresciallo Mirarchi e dell’appuntato Cammarata, Nicolò Girgenti, insieme a qualche altro complice, stava rubando piante di marijuana dalla serra che aveva gestito fino a pochi mesi prima. I malviventi, vistisi scoperti, non hanno esitato a far fuoco contro i due carabinieri. Girgenti è stato controllato con intercettazioni telefoniche e nell'immediato i militari dell'arma lo hanno sottoposto allo stub, un tampone simile al guanto di paraffina analizzato dai Ris di Messina. Proseguono, intanto, le indagini per individuare il secondo omicida del maresciallo Mirarchi. “Siamo certi che sul luogo ci fosse un secondo omicida. A dircelo è la testimonianza del collega presente con Mirarchi sul luogo - aveva detto il procuratore capo di Marsala, Vincenzo Pantaleo - che ha ascoltato una conversazione tra due persone e i bossoli sequestrati, appartenenti a due armi differenti. Le indagini proseguono anche grazie all'ausilio del battaglione Cacciatori di Calabria che stanno scandagliando il territorio in maniera certosina”. Sette sarebbero stati, in tutto, come detto, i colpi di pistola esplosi contro i due militari non appena questi, qualificandosi, hanno imposto l’alt a persone che si muovevano nel buio nell’area incolta di fronte le serre e che parlavano, pare, in siciliano. Si scoprirà, poi, che questi stavano portando via piante di marijuana. Per gli inquirenti, le avevano appena rubate nelle serre la cui gestione, qualche mese prima, era stata ceduta proprio dal Girgenti al 54enne partinicese Francesco D’Arrigo. La seconda accusa, per Girgenti, è quella di tentato omicidio dell’appuntato, rimasto miracolosamente illeso, che era con Mirarchi. La terza, l’ultima ad essere contestata, è produzione e traffico di sostanza stupefacente (cannabis). Secondo la Procura e i carabinieri della Compagnia di Marsala e del Comando provinciale di Trapani, Nicolò Girgenti “era in società con chi gestiva la piantagione”. E con lui anche il pregiudicato castelvetranese Fabrizio, detto “Elio”, Messina Denaro, 50 anni, nessuna parentela con l’omonima famiglia mafiosa. Per dieci mesi, a difendere Girgenti è stato l’avvocato Vincenzo Forti, che lo scorso 12 aprile - dopo essersi battuto strenuamente, e a lungo, per il suo assistito, ricorrendo anche all’aiuto di consulenti di chiara fama (un perito chimico e un perito balistico) – ha rinunciato all’incarico. “Dal carcere – spiegò l’avvocato Vincenzo Forti – il Girgenti mi ha fatto sapere, tramite una persona a lui molto vicina, che, secondo lui, io sarei stato corrotto dall’Arma dei carabinieri al fine di rendere il suo processo una finzione scenica. Il mio unico patrimonio, però, è la dignità del mio nome, al quale non ho intenzione di rinunciare. Per cui auguro al Girgenti ogni bene e soprattutto di trovare un avvocato che abbia la stessa pazienza che ho avuto io con lui e con l’intera sua famiglia”. Pochi giorni prima, Girgenti aveva affiancato all’avvocato Forti l’avvocato mazarese Genny Pisciotta. E’ quest’ultima, adesso, ad assistere il presunto omicida. Davanti al gup Quittino, intanto, si sono costituiti parte civile la moglie di Silvio Mirarchi, Antonella Pizzo, e i due figli (il loro legale è l’avvocato Giacomo Frazzitta), il fratello Romeo Mirarchi (avvocato Roberta Tranchida), la madre Ida Bagnato e la sorella Giulietta Mirarchi (avvocato Piero Marino), e l’appuntato Cammarata (rappresentato dall’avvocato Walter Marino).