Più che la risposta di un ex sindaco allo scioglimento per mafia del comune di Castelvetrano, quello di Errante ha tutta l’aria di essere un memoriale difensivo, legato alla forma e alla legittimità degli atti e non alle responsabilità politiche sull’opportunità delle sue scelte. Né, tantomeno, alle valutazioni su determinate persone, delle quali erano già emersi fatti inaccettabili ancor prima dell’insediamento degli ispettori ministeriali al Comune.
Nel capitolo della relazione prefettizia dedicato ad Errante, si legge che “Gli approfondimenti effettuati hanno consentito di accertare come egli abbia consentito, quando non ne è stato addirittura patrocinatore, che determinati soggetti, contigui o vicini alle organizzazioni mafiose, facessero parte della sua maggioranza consiliare o addirittura della sua giunta”.
Della sua maggioranza consiliare facevano parte, come è noto, due soggetti: Lillo Giambalvo ed Enrico Maria Adamo.
Di Lillo Giambalvo, fan dei Messina Denaro, si è ampiamente parlato. Certo, nel 2012 non era ancora stato arrestato (anche se poi verrà assolto in primo grado) e quindi l’allora candidato sindaco Errante non poteva sapere quello che sarebbe spuntato sul suo conto: “Era uno dei 150 candidati che mi hanno sostenuto nel 2012” ha sempre ripetuto. Vero. Anche se era uno dei pochi che avevano la possibilità di far parte della rosa dei 30 consiglieri, dal momento che l’imbarazzante consigliere risultò essere il primo dei non eletti nella lista del Fli. Non una lista qualsiasi della coalizione, ma proprio il partito che portò Errante alla guida della città. Insomma, Giambalvo non aveva certo la funzione di chiudere la lista. Ed in situazioni come queste, di solito è molto probabile che il candidato sindaco sappia dove il candidato consigliere attinge la sua “forza elettorale”. Ecco, al di là di precisi accordi con la mafia, in effetti davvero poco probabile che possano essere avvenuti con Felice Errante, l’accertamento della prefettura sull’aver consentito (o addirittura patrocinato) che “soggetti contigui o vicini alle organizzazioni mafiose, facessero parte della sua maggioranza” potrebbe essere fondato sul triste assunto (per altro molto diffuso ovunque) che per diventare sindaco ci vogliono i voti e non si può certo avere la puzza sotto il naso per le “vicinanze” o le “contiguità”. Il candidato è incensurato? Allora va bene così.
Per quanto riguarda Enrico Maria Adamo, la faccenda è un po’ più complessa. Recentemente, è stato destinatario di un provvedimento di sequestro di beni, insieme al padre Giovanni, per 5 milioni di euro, frutto di un’attività d’impresa che gli investigatori hanno collegato all’influenza della famiglia Messina Denaro, alla quale i due imprenditori sarebbero molto vicini.
Dalle carte sono emersi due fatti di una certa rilevanza, collegati in modo diretto al comune di Castelvetrano.
Fatti di cui le cronache hanno parlato molto. La richiesta di voti che Errante rivolse a Lorenzo Cimarosa, cugino di Matteo Messina Denaro, che nel 2012 non era stato ancora arrestato nell’operazione Eden e non aveva quindi nemmeno iniziato a collaborare con la giustizia.
Ed il ruolo di Enrico Maria Adamo in un appalto pubblico del comune di Castelvetrano, in cui faceva, secondo quanto è emerso nel provvedimento, da testa di ponte tra l’azienda Ragusana che lavorava nel cantiere del difficile quartiere Belvedere e lo stesso Cimarosa che eseguiva lavori di carpenteria.
I lavori furono poi sospesi dallo stesso Errante, solo dopo aver ricevuto un’interdittiva antimafia dalla prefettura di Ragusa per infiltrazioni mafiose nel cantiere. Il paradosso di questa vicenda era che il “garante” di quell’infiltrazione era un consigliere comunale (appunto, l’Adamo) della sua maggioranza.
L’ex sindaco, nel suo memoriale, entra nel merito della questione, scrivendo di “aver incontrato circa 20.000 persone, presentate anche dai diversi candidati al consiglio comunale. Lo scrivente, unitamente ad un suo stretto collaboratore A.Q. (Alessandro Quarrato) avrà partecipato in quelle settimane a centinaia di incontri (mangiate in campagna, cene conviviali, manifestazioni pubbliche, riunioni organizzative). Pur in assenza di un ricordo nitido del fatto storico, l’unica cosa che non può mai essere successa è quella di avere chiesto il consenso a soggetti malavitosi.”
Qui però si rischia di perdersi tra le definizioni.
Nel 2012 infatti, Lorenzo Cimarosa era ancora (per sua stessa ammissione e, come specificherà più avanti, suo malgrado) il bancomat di Matteo Messina Denaro. Certamente vicino alla famiglia quindi e contiguo alla mafia.
E alla domanda se sia vero o no il fatto che Errante incontrò Cimarosa e gli chiese i voti, la risposta non può che essere affermativa.
A confermare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia era stato lo stesso Enrico Adamo, che ammise pubblicamente di aver organizzato l’incontro su richiesta di Cimarosa, “che allora era un uomo libero – aveva tenuto a precisare - a capo di un’impresa con trenta dipendenti”. E che, sia lui che Errante, erano rimasti positivamente colpiti dal fatto che il Cimarosa aveva chiesto di fare le cose giuste per tutte le imprese della città.
Il testo del memoriale di Errante sulla vicenda Cimarosa, ha il tipico taglio legalistico, non proprio vicinissimo a valutazioni di opportunità.
“Non ho mai chiesto ad Enrico Adamo di incontrare il signor Cimarosa. Lo stesso non disse chi avremmo dovuto incontrare - scrive l’ex primo cittadino - io pensai ai muratori che lavorassero nel cantiere. Certo è comunque che Errante non ha mai chiesto al Cimarosa dei voti, di non avere stretto con lui mai nessun accordo”.
Invece, su Adamo scrive: “ Mai Enrico Adamo (incensurato almeno fino al febbraio 2017) ebbe a formulare proposte o richieste irricevibili. Durante l’intero mandato Errante non è mai risultato aggiudicatario di lavori pubblici comunali e la società della quale era legale rappresentante risultava regolarmente iscritta nella white list della Prefettura di Trapani fino a tutto l’anno2014/2015”.
Non fa una piega.
Egidio Morici