Manca meno di un mese ai 25 anni della strage di via D’Amelio. Ed una delle cose che di Paolo Borsellino si fa ancora fatica a ricordare è quella lezione sulla mafia agli studenti dell’istituto professionale “Remondini” di Bassano del Grappa nel 1989. E forse si fa fatica a ricordarla, perché il ruolo della politica e della società civile viene sempre più spesso delegato alla magistratura, confondendo le sentenze dei tribunali con le valutazioni di opportunità.
L’intervento di Borsellino, del quale riportiamo in coda un estratto, metteva l’accento sul fatto che la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire che ci sono “sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria, che mi consente di dire: quest'uomo è mafioso”. Però i fatti che sono emersi dalle indagini, anche in caso di assoluzione, spiegava Borsellino, dovrebbero far trarre ad amministrazioni, consigli comunali ed altri, le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi.
Casi di questo genere ce ne sono davvero tanti in Italia. E, tra i più recenti in provincia di Trapani, abbiamo quello di Ciro Caravà, ex sindaco “antimafia” di Campobello di Mazara, arrestato per mafia nell’operazione Campus Belli del dicembre del 2011. Assolto in primo grado, condannato a nove anni in Appello ed infine assolto definitivamente in Cassazione.
Anche la sezione penale e misure di prevenzione del Tribunale di Trapani ha recentemente rigettato la proposta di applicazione di misura di prevenzione personale e patrimoniale nei suoi confronti.
I giudici hanno scritto che “può dirsi tutt’al più plausibile, ma va considerato lungi dall’essere ritenuto certo che il Caravà abbia prestato assistenza economica a familiari di mafiosi detenuti, abbia conseguito il sostegno elettorale della consorteria mafiosa, o abbia svolto attività amministrativa al fine di favorire gli interessi di cosa nostra.”
Insomma, non ci sono prove. Quindi non è un mafioso. Non c’è alcun concorso esterno. E non si può nemmeno escludere la genuinità del suo impegno antimafia.
Certo, la decisione della sezione misure di prevenzione sarebbe potuta essere diversa rispetto a quella della Cassazione (sono due procedimenti diversi, appunto, penale e misure di prevenzione) e più volte è accaduto che a soggetti coinvolti in processi di mafia siano stati confiscati i beni, nonostante l’assoluzione di carattere penale.
Ma non nel caso di Caravà, in cui ad esempio le intercettazioni della moglie e delle figlie del boss Nunzio Spezia che affermavano che il sindaco pagava loro il biglietto per andare a trovare il capomafia nel carcere napoletano di Secondigliano, non avrebbero avuto “riscontri estrinseci”.
Si dirà: ma se la Cassazione lo ha assolto, per quale motivo il tribunale di prevenzione avrebbe dovuto accogliere la proposta di sequestro dei beni?
La risposta è nello stesso decreto in cui questa viene rigettata: “Le frequentazioni stabili con soggetti mafiosi e le cointeressenze economiche con il sodalizio, ben possono rappresentare indice rilevatore di contiguità – ove accertate – pur se ritenute insufficienti a fondare una decisione affermativa di penale responsabilità”.
Ecco, “ove accertate”. Inutile dire che l’accertamento è stato negativo. Vuoi perché basato su intercettazioni di terzi e non del Caravà personalmente, vuoi perché le interpretazioni dei colloqui possono essere più di una.
In tanti si sono anche chiesti a questo punto se l’antimafia professata dall’ex sindaco di Campobello fosse stata vera o di facciata. Il tribunale di prevenzione di Trapani ha affrontato l’argomento in base alle carte e alle valutazioni di carattere giudiziale.
E sono emersi diversi elementi.
Per esempio, il fatto che Caravà abbia “appassionatamente rivendicato una storica militanza antimafia, originata da proprie drammatiche vicende familiari”: uno zio assassinato da cosa nostra nel 1976 ed il padre trovato morto al lago Trinità di Castelvetrano (anche se per quest’ultimo non è mai stata accertata la matrice mafiosa).
C’è anche il fatto “che si è sempre espresso con parole di ferma condanna verso il fenomeno mafioso”, costituendosi anche parte civile nei processi di mafia Golem 1 e Golem 2 e sollevando da ogni incarico presso il Comune di Campobello, Franco Indelicato, non appena “quest’ultimo venne attinto da procedimenti penali per fatti di criminalità organizzata”.
Poi c’era la conversazione intercettata dai familiari di Nunzio Spezia in carcere, in cui lo informavano della cerimonia di inaugurazione della sede campobellese dell’Avis di qualche giorno prima, in un immobile confiscato alla mafia. Immobile che era stato appunto dello stesso Spezia. Era emerso che la figlia era molto indispettita per il discorso troppo enfatico che Caravà avrebbe fatto contro la mafia (“Hanno fatto troppo schifo”). Ed era pure emerso che l’allora sindaco aveva fatto pervenire alla famiglia le sue scuse per essere stato costretto a comportarsi in quel modo a causa del suo ruolo istituzionale. La moglie dello Spezia, intercettata, dice infatti: “E quello gli ha detto proprio all’autista, che è amico di Baldo… dice ‘io lo so che sono arrabbiati, però ho dovuto farlo, perché…’”.
Ma nel processo penale, si legge nel decreto, “non è emerso alcun elemento idoneo a riscontrare il contenuto del dialogo in esame, non essendo emerso alcun ulteriore elemento di prova da cui desumere che effettivamente il Caravà abbia fatto pervenire ‘scuse’ alla famiglia Spezia per le proprie iniziative antimafia”.
Insomma, hanno chiesto agli autisti del comune e nessuno ha confermato. Ma anche se avessero confermato, la cosa non avrebbe certo dimostrato “l’organicità mafiosa del Caravà”.
Anche perché, secondo i giudici di Trapani, ammettendo anche che le scuse ci fossero state, queste avrebbero potuto essere collegate “al timore di ritorsioni o al calcolo elettorale”.
Infine, sull’impegno antimafia, concludono che non se ne può escludere la genuinità.
Questo sembrerebbe, pur nell’impeccabilità di decreti e sentenze assolutorie in via definitiva, uno dei casi tipici di cui parlava Paolo Borsellino in quella sua lezione a Bassano del Grappa, della quale, come dicevamo, ne riportiamo di seguito il passaggio saliente:
"L'equivoco su cui spesso si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l'organizzazione mafiosa, però la magistratura non l'ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire che ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire che quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali, o quello che sia, dovevano già trarre le dovute conseguenze da queste vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.
Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Si dice: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto... ma dimmi un poco... tu non ne conosci gente disonesta che non è mai stata condannata perché non ci sono le prove per condannarla? C'è il forte sospetto che dovrebbe, quanto meno, indurre i partiti a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi e fatti inquietanti...".
Egidio Morici