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06/07/2017 06:10:00

Trapani, D'Alì e la sorveglianza speciale. Le accuse della Dda

Il prossimo 13 luglio inizierà davanti al Tribunale delle misure di prevenzione di Trapani il procedimento nei confronti del senatore di Forza Italia Tonino D’Alì, candidato sindaco di Trapani all’ultima tornata elettorale nel corso della quale è stato raggiunto da un nuovo provvedimento di richiesta di sorveglianza speciale.

Fino a questo momento le contestazioni contro il senatore D’Alì sono quelle delle sentenze dei due processi chiusi a suo carico, uno di primo e l’altro di secondo grado che hanno avuto la stessa identica sentenza: prescrizione del reato fino al 1994 e assoluzione. Da queste sentenze, le cui motivazioni sono state depositate a dicembre scorso, riparte l’accusa della Procura antimafia di Palermo secondo la quale i rapporti tra l’ex sottosegretario all’Interno e la famiglia mafiosa dei Messina Denaro sono alla base della “pericolosità sociale” di D’Alì. Secondo il racconto del collaboratore di giustizia Ingrasciotta, i Messina Denaro, campieri nelle tenute di Castelvetrano di proprietà della famiglia D’Alì, si impegnarono per la prima candidatura di D’Alì al Senato nel 1994.

Per la Dda di Palermo, altra prova dei contatti tra D’Alì e l'organizzazione mafiosa sarebbero i rapporti che lo stesso avrebbe intrattenuto con Tommaso Coppola, imprenditore valdericino, condannato in via definitiva e ritenuto il regista dei grandi appalti della Provincia di Trapani, uno tra questi quello del porto di Castellammare.

Sono state portate come prove per l'accusa a D'Alì anche le indagini della squadra Mobile di Trapani che indagava sulla mafia trapanese  e in particolare le intercettazioni a carico del boss Francesco Pace, imprenditore di Paceco che ha sostituito Virga al vertice di cosa nostra locale e che era ben informato riguardo al trasferimento del prefetto Fulvio Sodano, provvedimento del Consiglio dei Ministri, con presidente Silvio Berlusconi e D’Alì sottosegretario all’Interno.

A raccontare di D’Alì e dei rapporti che avrebbe intrattenuto con i mafiosi è anche un ex esponente della mafia trapanese, l’imprenditore Nino Birrittella, ex presidente del Trapani calcio, divenuto collaboratore dopo il suo arresto avvenuto assieme a quello di Francesco Pace. Birrittella ha testimoniato nei due processi fin qui svolti a carico di D’Alì ed è stato ritenuto attendibile. Per Birrittella c’erano molti interessi comuni che avrebbero avuto D’Alì ed alcuni esponenti di Cosa nostra. D’Alì banchiere, proprietario della Banca Sicula, poi assorbita negli anni ’90 dalla Comit, aveva come dipendente Salvatore Messina Denaro, fratello del boss di Castelvetrano e primogenito di Francesco Messina Denaro. Per i magistrati antimafia di Palermo il senatore D’Alì avrebbe contribuito alla strutturazione di Cosa nostra trapanese, passando dai rapporti con Messina Denaro a quelli con i trapanesi Vincenzo Virga e Francesco Pace.

Tra le altre prove dell’accusa, oltre alla vendita di un terreno di D’Alì al gioielliere Francesco Geraci, al quale il senatore avrebbe restituito i soldi, c’è anche quella che riguarda i lavori del porto di Trapani, e in questo caso sono i rapporti tra D’Alì e gli imprenditori Morici, che tra il 2005 e il 2011 si sono aggiudicati buona parte degli appalti, e oggi si trovano sotto misura di prevenzione.
Nel pesante atto di accusa nei confronti del senatore trapanese, rientra, infine, la testimonianza di don Ninni Treppiedi, i cui racconti in particolare nel processo di secondo grado sono stati ritenuti attendibili; racconti che riguardano la Banca Sicula ma soprattutto i rapporti che tanti anni fa D’Alì avrebbe intrattenuto con la famiglia mafiosa di Mazara del Vallo degli Agate.