Il questore di Trapani Maurizio Agricola ha firmato il decreto per bloccare i funerali pubblici per Vito Gondola, il 79enne ritenuto il capo mandamento della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo, morto giovedì all'ospedale di Castelvetrano. Gondola, arrestato nell'operazone antimafia Ermes del 2015, aveva un ruolo di vertice in Cosa nostra ed era uno dei boss più vicini a Matteo Messina Denaro.
Era considerato dagli inquirenti come l'uomo che aveva il compito di smistare la corrispondenza del boss di Castelvetrano tramite i famosi pizzini, che Gondola chiamava in codice. «Ci sono le cesoie da molare»; «bisogna tosare le pecore»; «il formaggio è pronto da ritirare»; «ho attaccato lo spargi concime»; «ti ho messo la ricotta da parte, passi più tardi?»; «Ho la sudda (l’erba che si dà alle pecore) pronta». Erano queste le frasi tipiche in codice quando ci si riferiva al fermo posta di Matteo Messina Denaro.
Il nome di Gondola, detto Vito Coffa, entra nei rapporti giudiziari sin dagli anni ’70. Allora faceva parte della banda Vannutelli che la mafia utilizzò, in alleanza con l’eversione di destra, per mettere a segno alcuni sequestri, come quello di Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo e del professore universitario Nicola Campisi. Gondola era stato denunciato assieme ad altre trenta persone dal rapporto dell’allora capo della Mobile di Trapani, Giuseppe Peri, che però le Procure interessate preferirono archiviare. Tra il 1977 e il 2015 Gondola è stato più volte arrestato e condannato, tra gli episodi sul suo conto emersi quello che per un periodo faceva da “autista” al capo dei capi di Cosa nostra siciliana, il corleonese Totò Riina. E nelle intercettazioni di Ermes è proprio l’appellativo di autista che i suoi “sottoposti” usavano quando dovevano parlare di lui. Talvolta anche “camion”.
Le vicende giudiziarie di Vito Gondola rientrano in diversi processi di mafia come quello per il sequestro del finanziere Luigi Corleo, il processo scaturito dalle confessioni del pentito di Campobello di Mazara Rosario Spatola, il processo Petrov, e quello alla mafia trapanese denominato Omega. Gondola ogni volta che è uscito dal carcere è sempre tornato al suo posto di capo decina e di alter ego del capo del mandamento di Mazara, Mariano Agate. Alla morte di Agate, Vito Gondola ne prese il posto, mandando con un intermediario un messaggio al figlio del defunto, Epifanio, “a te è morto il padre a me è morto un fratello”.
Non era un criminale qualsiasi. Era accanto allo stesso Totò Riina, quando fu deciso, insieme al clan Messina Denaro l’eliminazione della famiglia mafiosa di Marsala, colpevole di trattare con gli “stiddari” e con le famiglie perdenti di Cosa nostra, che Riina aveva scalzato con una specie di pulizia etnica che aveva fatto 500 morti in tutta la Sicilia Occidentale.
L’eliminazione dei marsalesi fu decisa in una famosa cena, alla vigilia di Natale del 1991 (e anche alla vigilia del terribile 1992 delle stragi di Capaci e Via D’Amelio) a Mazara del Vallo, in una villetta a Tonnarella. Durante quell'incontro Riina diede ordine di sterminare i vertici della famiglia mafiosa di Marsala alla presenza, oltre che di Gondola, di tutti i capi mafia autori delle stragi e degli omicidi più importanti avvenuti della provincia di Trapani: il giovane Matteo Messina Denaro, Mariano Agate, Andrea Mangiaracina, Vincenzo Sinacori, “Mastro Cicco” Messina.
Per capire la caratura criminale di Gondola, basta ricordare che in quella famosa cena ebbe l’onore di sedere a tavola proprio alla destra di Riina il che nei rituali mafiosi assumeva un significato emblematico del credito, del prestigio e dell’autorevolezza che il Gondola godeva presso il feroce capo corleonese.