La Corte di Cassazione ha deciso. Resta a Marsala il processo all'infermiere Spanò. La Corte di Cassazione ha respinto l’istanza di “legittima suspicione” presentata, lo scorso aprile, dal 54enne infermiere marsalese Giuseppe Maurizio Spanò, processato con rito abbreviato davanti al gup di Marsala Riccardo Alcamo per violenze sessuali su pazienti sedati per esami diagnostici e per il quale il pm Silvia Facciotti ha già chiesto la condanna a 13 anni di carcere.
Il processo, dunque, proseguirà davanti allo stesso giudice del Tribunale di Marsala. Spanò aveva chiesto la sospensione del processo con una istanza in cui affermava che la rilevanza mediatica del “caso” e soprattutto i commenti “forcaioli” su facebook potevano influenzare il giudice e i periti. Per questo, aveva chiesto che il processo venisse affidato ad altro giudice.
L’infermiere, agli arresti domiciliari dal 15 marzo 2016, avrebbe compiuto gli abusi sessuali nello studio medico privato di via Sanità, a Marsala, del gastroenterologo Giuseppe Milazzo.
“L’esito in Cassazione – commenta l’avvocato Vincenzo Forti, uno dei legali di parte civile – era scontato, ma apprezzo lo sforzo difensivo”. La firma di Spanò in calce all’istanza di “legittima suspicione” era stata autenticata da uno solo dei due difensori: Marco Siragusa (l’altro difensore è Stefano Pellegrino).
In aprile, la mossa dell’imputato colse di sorpresa un pò tutti. E furono piuttosto critiche le prese di posizione degli avvocati di parte civile. “Per me – dichiarò l’avvocato Vincenzo Forti - l’esito del processo è scontato. Spanò verrà condannato. Con questa richiesta sconterà un po’ più di pena agli arresti domiciliari piuttosto che in carcere. Ma, in ogni modo, il fatto più importante è che la condanna sociale è già stata emessa e non prevedere alcuna forma di appello. Una sentenza socialmente emessa sia nei confronti di Spanò che del dottor Milazzo, soprattutto alla luce delle brillanti dichiarazioni che quest’ultimo ha spontaneamente rilasciato ad alcuni organi di stampa locali”. Insieme a Forti, Francesca Lombardo aggiunse: “Nonostante sia una facoltà legittimamente concessa all’imputato dalla legge, sicuramente è uno strumento inutilmente dilatorio ed infondato, che tende soltanto ad allungare i tempi del processo e differire nel tempo una pronuncia di condanna certa nei confronti di Spanò, così danneggiando maggiormente tutte le parti civili”. Pure per l’avvocato Calogera Falco, la richiesta di Spanò era “un’azione palesemente dilatoria che non consentirà mai all’imputato, qualsiasi Tribunale giudicherà, di sfuggire alle proprie pesanti responsabilità”. E anche Ignazio Bilardello parlò di azione “dilatoria”, affermando: “Ritengo che la Cassazione riterrà inammissibile questo ricorso, in quanto non ci sono assolutamente i presupposti. L’articolo 45 del codice di procedura penale prevede delle forme di alterazione abbastanza precise che qui non ricorrono. Questo articolo prevede forme di alterazione in ambito locale, ma in questo caso la notizia, prima al momento dell’arresto di Spanò e poi più di recente con la trasmissione de Le Iene, ha avuto rilievo mediatico nazionale. In quanto si tratta di un fatto molto grave e particolare. Quindi, anche se spostiamo questo processo a Palermo o a Trapani, perché entro i confini del distretto giudiziario di questa Corte d’appello deve rimanere, non cambia nulla. Il fatto è di conoscenza nazionale, non è circoscritto a una situazione di influenzabilità che riguarda solo il luogo in cui è accaduto il fatto o si svolge il processo”.