La figura del 47enne pastore pregiudicato salemitano Sergio Giglio è stata al centro della deposizione, in Tribunale, a Marsala, del colonnello della Guardia di finanza Rocco Lo Pane, capo della Dia di Trapani, ascoltato nel processo scaturito dall’operazione “Ermes” del 3 agosto 2015, che vede Giglio imputato con altri tre con l’accusa di essere stato uno degli anelli della catena di “postini” del superlatitante Matteo Messina Denaro.
“Sergio Giglio – ha detto il colonnello Lo Pane rispondendo a una domanda dell’avvocato Celestino Cardinale - si è posto come referente o interlocutore in vicende mafiose relative ad estorsioni”.
In precedenza, l’investigatore aveva a lungo risposte alle domande del pm della Dda Gianluca De Leo sulle ultime intercettazioni acquisite al processo. Quelle effettuate, tra il 2012 e il 2013, dai carabinieri e poi riesaminate dalla Dia alla luce di nuovi dati investigativi nel frattempo acquisiti.
Lo Pane ha spiegato che da queste intercettazioni ambientali (“cimice” sull’auto di Girolamo Scandariato, figlio di Nicola Scandariato, storico capomafia di Calatafimi, entrambi arrestati nell’operazione “Arca” del febbraio 2000) emerge che Salvatore Mercadante (“l’unico – ha detto l’ufficiale – ad avere detto di essere stato invitato a un summit mafioso tenutosi a Castellammare del Golfo nell’ottobre 2010, mentre gli altri dissero di essersi trovati lì casualmente”) fu “bruscamente” convocato dal Giglio, che avrebbe temuto possibili dichiarazioni del Mercadante su una tentata estorsione a due fratelli (Lombardo) che gestivano una pizzeria a Castellammare.
“Questo – ha affermato il colonnello Lo Pane – indica una certa autorevolezza del Giglio. Dall’intercettazione del 31 gennaio 2013 apprendiamo, poi, che Girolamo Scandariato lo rassicura, dicendogli che anche se Mercadante ha parlato con qualcuno della tentata estorsione ai gestori della pizzeria, non lo farà certo con gli inquirenti. Anche perché, dice Scandariato, ‘si consuma lui, perché la palla da lui è partita’. Altra estorsione che visto Giglio intermediario tra famiglia mafiosa e vittima riguarda la vendita di un terreno a Partanna”. Coinvolgimenti pesanti, dunque, quelli che emergono dalle intercettazioni. Dalle quali, ha proseguito l’investigatore, emerge anche che i contatti tra Girolamo Scandariato (che dopo l’operazione “Arca” patteggiò una condanna per mafia) e Giglio sarebbero stati “numerosi”. E Sergio Giglio avrebbe avuto “il ruolo di chi doveva convincere le vittime a pagare”. Il processo ha, intanto, perso per strada il suo principale imputato, il 79enne presunto capomafia Vito Gondola, deceduto la notte del 13 luglio all’ospedale di Castelvetrano per una grave malattia. Gli avvocati Celestino Cardinale e Carlo Ferracane avevano chiesto la sua testimonianza dimostrare che gli incontri tra Gondola, Giglio, Michele Gucciardi, presunto capomafia di Salemi, e Michele Terranova non erano per smistare i “pizzini” utilizzati da Messina Denaro per comunicare con gli affiliati a Cosa Nostra, ma per condurre complesse trattative per la vendita di un gregge di pecore. Quello che tra il 2010 e il 2012 un anziano allevatore di Castellammare del Golfo, Liborio Ancona, alla vigilia delle pensione, vendette a Gondola. Con la testimonianza di quest’ultimo, quindi, i difensori di Giglio puntavano a chiudere il cerchio. Ma non è stato possibile. Imputati, oltre a Giglio, sono Giovanni Mattarella, di 51, commerciante, genero di Vito Gondola, Ugo Di Leonardo, di 75, ex geometra del Comune di Santa Ninfa, incensurato, e Leonardo Agueci, di 29, ragioniere incensurato di Gibellina. Dei quattro, solo Giglio è ancora in carcere. Di Leonardo e Gondola, infatti, sono ai domiciliari, mentre Mattarella e Agueci, accusati solo di favoreggiamento (e non di associazione mafiosa come Di Leonardo e Giglio), sono tornati in libertà.