"Giovanni, avendo nella prigione udito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli attraverso alcuni suoi discepoli: "Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo aspettarne un altro?" Gesù, rispondendo, disse loro: «Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri. E beato colui che non si sarà allontanato da me!»" Mt 11, 2-6
Fratelli e sorelle,
negli studi inerenti la drammaturgia, ma anche solo la comunicazione, ci si imbatte spesso in un'espressione particolare. Autore originario di questa espressione fu Samuel Taylor Coleridge, uno dei padri del romanticismo inglese agli inizi dell''800: si tratta della "suspension of disbelief", che il più delle volte in italiano viene tradotta con "sospensione dell'incredulità". Con questa "sospensione dell'incredulità", si intende quella sorta di patto che il fruitore dell'opera d'arte stabilisce con l'autore in un racconto di qualsivoglia natura (romanzo, film, etc...). Questo patto prevede, da parte del fruitore, di sospendere le proprie capacità di giudizio critico per godere dell'esperienza della narrazione.
Ora, la Bibbia non è un' "opera d'arte" propriamente detta (in parte sì, lo è, ed è anche un capolavoro assoluto, ma non è essenziale stabilirlo in questa sede...) e il "fruitore" della Bibbia, il lettore della Scrittura, è legittimato ad avere approcci diversi e diversificati con ciò che sta leggendo. In ogni caso, è bastata una seconda lettura del breve brano biblico che abbiamo appena letto, perché subentrasse in me una certa perplessità, il testo sembrava, per l'appunto, chiedere troppo alla mia "sospensione dell'incredulità", una cosa molto simile a quando storciamo un po' il naso perché la trama di un film presenta delle incongruenze troppo macroscopiche per non essere notate. In questi casi potremmo usare l'espressione colloquiale "Non mi torna"...
Ecco, la primissima cosa che mi è balzata agli occhi è stato proprio questo tipo di perplessità, questo " non mi torna"... Mi riferisco in particolare, ma non solo, a una incongruenza: ma perché mai Giovanni avrebbe dovuto fare una domanda del genere a Gesù?... Se torno indietro, al cap 3 dello stesso vangelo di Matteo, Giovanni dice a Gesù "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?", e questo subito dopo aver diffusamente parlato di "colui che viene dopo di me [che] è più forte di me, e io non sono degno di portargli i calzari; egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e con il fuoco". Quindi? Perché adesso chiede "Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo aspettarne un altro?". E il Battista usa anche la stessa identica espressione del cap 3: "colui che deve venire"...
Più in generale, il lettore di questo brano può legittimamente rimanere con l'mpressione che ci sia molto, tanto, di "non detto", di "fuori campo" in questi 5 versetti: chi sono questi discepoli del Battista che compaiono d'improvviso e altrettanto improvvisamente scompaiono di scena? Non sappiamo neanche quanti siano di preciso... Sono solo semplici messaggeri, ambasciatori? E perché Gesù, una volta udita la domanda, non ha nessun tipo di reazione diretta nei confronti di Giovanni? Si ha quasi l'impressione che i due all'improvviso non si conoscano più... Ma già dal versetto successivo ai nostri, Gesù, guarda caso non appena i discepoli si sono allontanati, arriva a chiamare Giovanni "l'Elia che doveva venire"...
Ma torniamo alla domanda iniziale: perché mai Giovanni avrebbe dovuto fare una domanda del genere a Gesù? E perché mai proprio in quel determinato momento?
Si pone allora anche la questione dell'origine del testo. Il fronte degli studiosi su quest'aspetto è sempre stato disunito, ma l'esegesi più moderna di matrice protestante non nega la possibilità di un Battista dubbioso, anche in virtù della sua condizione di carcerato, una condizione, converrete con me, sicuramente "destabilizzante". Un Giovanni quindi perplesso e vittima di quella che è stata definita la sua "impazienza messianica", un'impazienza determinata dalla paura che Gesù procastinasse, rimandasse eccessivamente la sua rivelazione come figlio dell'uomo. Proviamo allora a sposare questa tesi e ad accettare il fatto che il Battista, l'ultimo profeta, sia molto umanamente scosso nelle sue certezze da ciò che gli viene raccontato di Gesù mentre si trova in prigione e che questi racconti lo facciano "sbottare", gli facciano sorgere un dubbio lancinante, che deve trovare risposta immediata: ma è davvero Gesù "colui che deve venire"?...
Eccoci dunque alla risposta di Gesù... Ma è davvero una risposta alla domanda che gli è stata posta? Di sicuro non è una risposta diretta: Gesù, come spesso accade, sposta subito l'attenzione da sé ed invita i discepoli a riferire, a raccontare "quello che udite e vedete". Ma cosa potranno mai raccontare questi due o più discepoli se sono appena arrivati e subito andranno via?... E poi Giovanni aveva già "udito parlare delle opere del Cristo", non è forse per questo che invia i suoi discepoli?... Il breve elenco che segue al versetto 6 è una sorta di "bignamino" di tutti i racconti di miracoli che occupano una buona parte dei capitoli precedenti al nostro nel vangelo matteano, eccezion fatta per i racconti di esorcismi. Ma i discepoli di Giovanni non erano presenti al compimento di questi miracoli pubblici... Dunque cosa testimonieranno al Battista una volta tornati alla prigione? Quello che già sapeva?
Ma se il lettore torna indietro di un versetto e rilegge con più attenzione, forse si accorge di un'altra, l'ennesima "stranezza": i verbi "udire" e "vedere" non sono coniugati al presente, ma al passato... "Andate a riferire a Giovanni quello che udite e vedete", non "quello che avete udito e che avete visto"... E cosa, anzi chi, i discepoli stanno ascoltando e vedendo in quel preciso momento? Molto semplicemente colui che gli sta parlando, Gesù il Cristo. Sono testimoni di Cristo... Ma che tipo di testimoni sono? Sono testimoni oculari? No di certo, non c'è nessuno dei protagonisti di questi versetti che abbia visto di persona alcunché, a parte Gesù stesso, s'intende... In compenso, tutti hanno udito, ascoltato qualcosa: Giovanni ha sentito parlare in carcere delle opere di Gesù, i discepoli ascoltano prima la domanda del Battista e poi la risposta del Cristo, Gesù stesso ascolta la domanda di Giovanni per bocca dei discepoli e, in un sottofinale implicito, fuori campo, sin suppone che Giovanni ascolterà nella sua cella la risposta di Gesù...
In ambito giuridico esiste l'espressione "testimonianza de relato", termine con il quale si intende "la deposizione di soggetti che hanno soltanto una conoscenza indiretta del fatto su cui verte la controversia". Naturalmente in giurisprudenza si pone il problema di quale sia la rilevanza probatoria e la significatività di tali deposizioni. In parole povere: può il "sentito dire" costituire una prova contro o a favore di qualcuno? Si tratta, per l'appunto, di una testimonianza indiretta, in uno stato di diritto quale il nostro dovrebbe essere, bisogna per forza di cose "andarci con i piedi di piombo" in questi casi...
Ma il di là delle (sacrosante) leggi di uno stato di diritto, chi è il testimone di Cristo? E' solo un testimone "de relato", che ascolta parlare della salvezza di qualcuno che non ha mai conosciuto di persona, di una salvezza avvenuta lontana dai suoi occhi e di cui non può fornire la benché minima "prova"? No, non solo...
Sì, il (o la) testimone di Cristo è un testimone indiretto... Ma non potrebbe essere altrimenti, poiché l'unico testimone diretto, oculare, che era, è, e sempre sarà di fronte agli occhi Dio è il suo figlio unigenito Gesù Cristo, che ha testimoniato all'umanità intera l'amore misericordioso del Padre. Noi, suoi discepoli, non siamo co-testimoni, testimoni con Cristo, noi siamo testimoni di Cristo, siamo testimoni del Testimone. Ma noi, suoi discepoli e discepole, siamo però chiamati e chiamate ad essere testimoni fedeli della sua parola, della Parola di Dio che in lui si compie e che annuncia la venuta del Regno. Ed è la testimonianza salvifica di Cristo che abbiamo avuto in dono da Dio che dobbiamo annunciare, senza "scandalizzarci", allontanarci da essa per paura o pudore.
"Andate e riferite quello che udite e vedete!" ... La Parola di Cristo non è solo la promessa del Regno di pace e giustizia che attende l'umanità alla fine dei tempi. No, la parola di Cristo di cui dobbiamo rendere testimonianza abita già in mezzo a noi, ora, nel tempo presente. La Parola non è un'idea, un ideale e men che mai un'ideologia, è la nostra fede. E la fede in Cristo è un'esperienza di vita, un'esperienza che ha attraversato concretamente l'esistenza terrena di milioni di persone, non dimentichiamocene mai.....
Ecco il miracolo: la fede in Dio, che è parola di Cristo e parola in Cristo, ci sta salvando, qui ed ora. E questa salvezza non è solo speranza, è anche la nostra esperienza, è la nostra storia, sono le nostre vite. La nostra salvezza in Cristo è la nostra testimonianza. Ora andiamo e riferiamo... Amen
Pier Giovanni Vivarelli - culto del 30 luglio 2017 a Tre Fontane