Sono tornati in libertà, sia pure con misure cautelari alternative, due delle tre persone che lo scorso 26 luglio sono stati posti agli arresti domiciliari per la vicenda relativa alla neonata ceduta a una coppia marsalese senza figli.
Su richiesta degli avvocati difensori Vincenzo Forti e Francesca Lombardo, il gip di Trapani Caterina Brignone ha rimesso in libertà A.M., di 38 anni, la donna che in dicembre ha dato alla luce la bambina all’ospedale di Trapani, e L.G., di 34, l’uomo che ha dichiarato di essere il padre naturale della piccola, poi smentito dalle indagini dei carabinieri.
Revocando i “domiciliari”, però, il gip ha imposto l’obbligo di dimora nel Comune di residenza (Marsala) per A.M. e quello di quotidiana presentazione alla pg per L.G.. La prima è difesa dall’avvocato Vincenzo Forti, che per la sua cliente ha già preannunciato “l’intenzione di patteggiare la pena”.
Per A.M. e L.G. la libertà è stata accordata in quanto il gip ha ritenuto che ormai sono venute meno le esigenze cautelari (pericolo fuga, reiterazione reato, inquinamento prove). Per A.M. un peso hanno avuto anche le parziali ammissioni durante l’interrogatorio di garanzia. “Per L.G. – spiega l’avvocato Francesca Lombardo - ho fatto istanza al gip Brignone per revocare o comunque modificare la misura cautelare degli arresti domiciliari. Oggi (ieri, per chi legge, ndr), il gip ha revocato l’ordinanza degli arresti degli arresti domiciliari e ha, con parere favorevole del pubblico ministero, disposto una misura meno afflittiva, obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria. Adesso, è quindi rimesso in libertà con questa unica limitazione. Adesso valuteremo come proseguire e definire questo procedimento penale, nella maniera più ‘indolore’ e vantaggiosa possibile. La definizione del giudizio deve ancora esserci e devo valutare con quali forme e rito”. Rimane, invece, ai domiciliari P.C., di 28 anni, moglie di L.G., ma questo soltanto perché il suo difensore, l’avvocato Luigi Pipitone, subentrato da poco, a procedimento già in corso, non ha ancora presentato domanda di revoca del provvedimento restrittivo. Non l’ha fatto perché la donna, nell’interrogatorio di garanzia, ha preferito avvalersi della “facoltà di non rispendere”, dicendo che non stava bene. A giorni, comunque, anche il suo legale, che ha scelto una diversa strategia difensiva, presenterà al gip istanza di libertà. Il prezzo pattuito per la cessione della neonata, 10 mila euro, mai versati a causa dell’avvio dell’indagine, emerge da una intercettazione ambientale dello scorso 17 febbraio (“cimice” sull’auto in uso a L.G.). A.M. racconta, infatti, ai due coniugi che non possono avere figli per pregresse gravi patologie, che qualche giorno prima un certo “zio Vincenzo” aveva ricevuto una telefonata da uomo che gli aveva chiesto se era vero che lei aveva avuto una bambina, dicendo di sapere che la piccola era stata data a L.G. e che per questo le doveva dare 10 mila euro. E che sarebbe stato costretto a restituire la piccola se non fosse stato in grado di pagare. In mano all’accusa, inoltre, non solo il risultato degli esami del Dna, eseguito dal Ris di Messina, che esclude, “con scientifica certezza” sostengono gli inquirenti, la paternità dichiarata all’ufficiale di stato civile, ma anche altre, pare decisive, intercettazioni. E cioè quelle in cui i tre arrestati, dopo essere stati convocati, in febbraio, per essere interrogati, pur non sapendo il motivo della convocazione, ma intuendolo, cercano di concordare una versione comune. L.G., in particolare, dice alla moglie di dichiarare che nel periodo in cui la bambina è stata concepita, verso marzo 2016, erano in crisi e si erano “lasciati” (“Gli devi dire che noi abbiamo avuto problemi” suggerisce il marito alla moglie). E lui, contemporaneamente, aveva avuto un’altra “storia”. Poco prima, A.M. affermava che avrebbe dichiarato che, data la precarietà delle sue condizioni economiche, dopo avere scoperto di essere incinta (la donna aveva già quattro figli), avrebbe comunque deciso di continuare la gravidanza, certa che L.G. avrebbe, comunque, assicurato un futuro alla bambina che doveva venire alla luce. Si sarebbe, insomma, preso le “sue” responsabilità. Altrettanto chiare sono le dichiarazioni di A.M. dopo l’invito a comparire per il prelievo di materiale organico ai fini dell’esame del Dna. “Ci siamo incasinati – esclama la donna – Usciamo di qua e andiamo a parlare con l’avvocato. Tutti in galera siamo”.