"Nell'ultimo periodo anche grazie alle indagini sono emersi elementi di prova che indicano che la strage di via d'Amelio non fu una strage solo di mafia: e tuttavia il dibattito e l'attenzione pubblica, invece di concentrarsi su questo, si orientano a screditare il mio lavoro e la mia professionalità". Sono le parole del sostituto procuratore nazionale Antimafia, Nino di Matteo, che oggi è stato sentito dalla commissione Antimafia.
È stato lo stesso Di Matteo a chiedere di essere convocato, dopo le notizie stampa sulle precedenti audizioni in commissione - in particolare quella della figlia di Paolo Borsellino, Fiammetta, che veva esplicitamente denunciato il depistaggio che ha portato alla condanna di innocenti, ingiustamente coinvolti nelle indagini sull'attentato.
"La mia richiesta di essere ascoltato - ha detto Di Matteo - è motivata da un duplice scopo: fornire un contributo alla verità e stimolare approfondimenti necessari in sede politica sul probabile coinvolgimento nella strage di soggetti esterni a Cosa nostra. Da magistrato mi preoccupa il dato che molti vogliano concentrare il dibattito e l'interesse esclusivamente sulla figura di Scarantino. Se qualcuno ha depistato in via d'Amelio, andatelo a cercare in chi ha condotto le indagini che hanno portato all'arresto di Scarantino. Non voglio difendere assolutamente le dichiarazioni di Scarantino, ma si tratta di capire come mai queste dichiarazioni false, in quanto fatte da un soggetto non coinvolto nella strage, in parte coincidano con quelle di Spatuzza. Lascia ipotizzare che alcune informazioni vere erano arrivate a chi, per sfruttarle, ha fatto un errore, una cosa gravissima, mettendo in bocca a un soggetto che non sapeva nulla, informazioni che, chi aveva ricevuto, riteneva attendibili".
"Quando vennero avviate le indagini io non ero magistrato, ma uditore - ha ricordato Di Matteo -, divenni magistrato a Caltanissetta e mi occupai solo di procedimenti ordinari fino al 8 dicembre del 1993. Entrai a far parte del gruppo di pm che si occupavano di distrettuale antimafia il 9 dicembre 1993 con processi che riguardavano solo la mafia e la stidda di Gela. Solo nel novembre del 1994 entrai a far parte" della distrettuale con "indagini avviate su dichiarazioni di pentiti che non avevo mai ascoltato. Questa è la verità oggettiva, non mi sono a nessun titolo mai occupato del primo processo sulla strage di via D'Amelio, quello delle dichiarazioni di Scarantino. Unico troncone che ho seguito in ogni parte è il ter. Qio crolla miseramente chi per screditare il mio lavoro vuole coinvolgermi in vicende che non ho vissuto e che altri hanno svolto".
"Non cadranno nel vuoto gli spunti che ci ha offerto - ha detto al termine dell'audizione, la presidente della Commissione Rosy Bindi - Anche io sono convinta che questi 25 anni non sono stati inutili, non solo per le condanne che ci sono state ma perché si è scoperto che Scarantino era un collaboratore che aveva come finalità sviare la ricerca della verità e si è arrivati ad accertamenti molto importanti. A tutt'oggi ancora ci sono molti interrogativi, noi vogliamo offrire il nostro contributo, almeno lasciare le domande giuste per il futuro. Scarantino per noi non è un pretesto, cerchiamo di capire perché è successo questo, chi c'era dietro questo depistaggio, questo è per noi molto importante. Non posso pensare che le domande che possono averla ferita che vengano da Fiammetta Borsellino siano finalizzate a screditare il suo lavoro piuttosto che ad accertare la verità - ha proseguito Bindi rivolta a Di Matteo - ci terrei a ridimensionare le sue affermazioni. La Commissione Antimafia le è stata vicina fin dall'inizio, appena ci sono state le minacce di Riina nel 2013 nei suoi confronti, abbiamo sempre seguito il suo lavoro con grande rispetto, non abbiamo iniziato una inchiesta per non interferire sul processo trattativa".