Dopo la pausa estiva è ripreso il processo che si celebra in Corte d’Assise (presieduta da Roberta Serio) a carico del superlatitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e via d'Amelio, in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e gli agenti delle scorte.
Ad essere sentito è stato il teste Giovanni Di Pietro, maresciallo dei carabinieri chiamato a riferire su indagini e processi che hanno visto la famiglia dei Messina Denaro come protagonisti a partire dagli anni Ottanta. Di Pietro, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Gabriele Paci, ha ripercorso le fasi della guerra di mafia che porterà all’ascesa dei Messina Denaro, alleati dei Corleonesi a Palermo. E’ così che furono scalzate le vecchie famiglie dei Buccellato, dei Rimi e dei Minore.
Il teste ha parlato del ruolo chiave che il padre della primula rossa, Francesco Messina Denaro, detto anche don Ciccio, rivestiva in quegli anni all’interno di Cosa nostra. Messina Denaro senior si diede presto alla latitanza e nei primi anni Novanta fu seguito anche dal figlio. Secondo l’accusa "Messina Denaro prese parte a una riunione della commissione di Cosa nostra alla fine del '91 a Castelvetrano in cui Totò Riina decise di dare via alla strategia stragista, prevedendo che la Cassazione avrebbe di lì a poco confermato le condanne del primo maxi processo contro la mafia". L’udienza è stata rinviata al prossimo 16 ottobre quando si terrà il controesame oltre all’escussione del teste Bonanno.