Nuove prove (atti e relazioni) sono state portate in dibattimento dall’accusa nella prima udienza del processo che vede alla sbarra Michele Licata e sei suoi familiari
. In questo secondo processo, Michele Licata, ex leader nel settore ristorazione-alberghiero, già condannato in primo grado a 4 anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere per evasione fiscale, truffa allo Stato e malversazione (condannate a pene meno severe anche le figlie Valentina e Clara Maria), è accusato di auto-riciclaggio e violazioni finanziarie.
Per i suoi familiari l’accusa è ricettazione. Secondo l’accusa, infatti, il noto imprenditore, dopo l’avvio dell’indagine di Procura e Guardia di Finanza, avrebbe “girato” grosse somme sui conti dei suoi familiari per evitarne il sequestro da parte dello Stato.
Adesso, a chiedere l’ammissione di altra corposa documentazione (atti, documenti e relazioni sui reati contestati) è stata il pm Antonella Trainito. Il procedimento è scaturito dagli ulteriori approfondimenti svolti nel corso dell’inchiesta. Cercando, infatti, il “tesoro” del “gruppo Licata”, la Guardia di finanza (Nucleo di polizia tributaria di Trapani e sezione di pg della Procura), nell’ottobre 2015 sequestrò denaro contante per 50 mila euro e assegni per circa un milione e 200 mila euro. E proprio in quel momento finì indagato l’intero nucleo familiare di Michele Licata. Per auto-riciclaggio e ricettazione. Dall’inchiesta, infatti, è emerso che il noto imprenditore, proprio per scongiurare il pericolo di subire ulteriori sequestri (almeno secondo l’ipotesi investigativa), avrebbe tolto somme di denaro dai suoi conti correnti per versarli su quelli dei familiari (la moglie Maria Vita Abrignani, la madre Maria Pia Li Mandri e la figlia Silvia) fino a quel momento non indagati, ma per questo ora chiamati a rispondere del reato di ricettazione, come pure la figlia Valentina e il genero Roberto Cordaro. Il reato di ricettazione sarebbe stato commesso anche in danno di alcune loro stesse società, dalle cui casse sarebbe stato prelevato denaro (diversi milioni di euro) poi depositato sui conti correnti personali. Per alcuni capi d’imputazione, il 2 dicembre 2016, sono state condannate anche le figlie Valentina e Clara Maria, imputate anche in questo secondo processo. Ieri, dopo la richiesta del pm di deposito dell’ulteriore documentazione, la difesa (avvocati Carlo Ferracane, Stefano Pellegrino, Salvatore Pino e Gioacchino Sbacchi) ha chiesto un lasso di tempo per esaminare le nuove carte. Il processo è stato, perciò, rinviato al 16 ottobre, quando il Tribunale (presidente del collegio: Lorenzo Chiaramonte) deciderà anche sulla richiesta di costituzione di parte civile avanzata dalla Agenzia delle Entrate. Nella stessa udienza, dovrebbe testimoniare anche il maresciallo della Guardia di finanza Salvatore Missuto. Nel frattempo, i rappresentanti di accusa e difesa hanno presentato anche le rispettive liste di testimoni da ascoltare nel corso del dibattimento.