Via Bentivegna, Palermo. Quartier generale del Pd. Sono le 4 di notte del 6 ottobre. Mancano 12 ore alla scadenza per la presentazione delle liste per le regionali del 5 novembre. Nell’ufficio ci sono una trentina di persone. Da 48 ore si susseguono riunioni e mini-vertici. La tensione è altissima, alcuni dirigenti del centrosinistra sono arrivati quasi alle mani. Rosario Crocetta è con lo stato maggiore del Megafono, il suo movimento. Il governatore s’è convinto a rinunciare alle sue liste per trasferire i suoi candidati in quelle Micari-Arcipelago: gliel’ha chiesto Renzi dopo avere preso atto che Leoluca Orlando non era stato in grado di riempire le liste con i “civici” come aveva garantito. Se Crocetta non avesse accettato, sarebbe stata la catastrofe. Ma il governatore accetta.
Dalla strada si vedono le luci accese. E si sentono le urla. Si discute dei nomi da inserire nelle liste provinciali Micari-Arcipelago e di conseguenza degli equilibri da mantenere in quelle del Pd. Con i crocettiani, tra cui Mariella Lo Bello, nella sede ci sono i big del Pd: Fausto Raciti, segretario siciliano, il sottosegretario Davide Faraone, braccio destro di Renzi nell’isola, Antonio Rubino, responsabile organizzazione del partito. C’è anche il candidato presidente Fabrizio Micari, col suo braccio destro, l’avvocato Giovanni Di Salvo.
I volti sono cupi, i nervi a fior di pelle. Ci sono tre province da sistemare: Enna, Messina, Siracusa. Sui tavoli ci sono i fogli con le candidature: nomi depennati e poi riscritti, spostati dalle liste Micari a quelle del Pd, poi rimessi a posto, e ancora spostati. Si cerca la quadra tra le correnti dem. Un gioco a incastro complicato, ognuno cerca di ottenere il massimo. Il tempo scorre. Gli animi si surriscaldano. Fuori c’è ancora buio. L’ora della notte dei lunghi coltelli scocca alle 4. A riferire al manifesto quello che accade sono più fonti che hanno assistito alla scena. Carmelo Miceli, segretario Pd a Palermo, dopo avere parlato al telefono con Faraone che intanto aveva lasciato la sede, prende dal tavolo il faldone con le firme, quasi 1.800, raccolte per supportare il listino regionale del presidente, quello di Micari. Infila la porta e se ne va. Senza quelle firme sul listino, addio elezioni per il centrosinistra. I presenti sono increduli. C’è rabbia e indignazione. «Chiamate Renzi subito», è la reazione. Viene avvertito Lorenzo Guerini, coordinatore del Pd. Il sole non è ancora sorto, sono quasi le 5. Renzi viene messo al corrente. I telefonini sono bollenti. Intorno alle 9, il faldone con le firme torna sul tavolo.
La trattativa riprende in una atmosfera surreale. I nodi sempre quelli: Enna, Messina e Siracusa. I nomi dei candidati continuano a ballare da una lista all’altra; il primo ostacolo, Enna, viene superato a fatica. Arrivano i primi giornalisti. Nessuno è in grado di dire con certezza se l’accordo si farà; quelli del Megafono tengono le proprie liste in standby, pronti a depositarle nel caso l’intesa saltasse all’ultimo minuto. I dirigenti passano da una stanza all’altra con i foglietti in mano. Bruno Marziano passando nel corridoio fa il segno della vittoria; lui, Giovanni Cafeo e Paolo Amenta sono nella lista del Pd. Non c’è invece Giovanni Cutrufo, presidente, espressione del sindaco di Siracusa Giancarlo Garozzo, renziano vicino a Faraone. Cutrufo è destinato alla lista Micari di Siracusa, dove c’è anche Pippo Basso, sindaco di Carlentini, due candidati forti che si sarebbero pestati i piedi a vicenda: così Cutrufo, in raccordo con la sua area, decide di candidarsi nella lista di Ap. E Basso a quel punto si tira indietro, troppo debole la lista, da cui scappano anche gli altri candidati minori. Risultato, a Siracusa Micari rimane senza lista.
Resta il nodo Messina. La discussione è serrata: la presenza di Crocetta come capolista di Micari-Arcipelago sbilancia gli equilibri tra le correnti dem. L’intesa viene raggiunta poco dopo le 14. I messi vengono inviati di gran corsa nei tribunali per depositare le liste: mancano 2 ore alla chiusura degli uffici elettorali. Mentre le delegazioni sono in viaggio, nel bunker del Pd va di scena un altro drammatico scontro. Questa volta a perdere le staffe è Fabrizio Micari. Che va su tutte le furie quando scopre che Crocetta intende fare il capolista anche a Catania. Micari alza i toni, minaccia di abbandonare la competizione elettorale; gli sherpa fanno di tutto per scongiurare la catastrofe, alla fine Crocetta abbandona l’idea Catania.
Poco prima delle 16, il messo di Micari-Arcipelago arriva nel tribunale di Messina; mentre è in coda, un suo collaboratore va a recuperare alcune carte in macchina ma si porta dietro lo zainetto con parte della documentazione della lista Micari. Quando ritorna, la porta dell’ufficio elettorale è chiusa. Bussa, ma le 16 sono ormai passate. Chiama il messo al telefonino, la porta si apre. Ma è troppo tardi. L’ufficio elettorale non ammette la lista Micari: Crocetta rimane fuori dall’unico collegio dove si è candidato, dopo avere rinunciato a correre per la presidenza della Regione lasciando spazio a Micari e dopo aver accettato di sacrificare anche il Megafono per salvare la coalizione dal disastro in cui l’ha cacciata Leoluca Orlando.
Alfredo Marsala, Il Manifesto - clicca qui per l'articolo originale