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24/10/2017 07:05:00

Processo a Mimmo Scimonelli per omicidio Lombardo, difesa cerca ancora piste alternative

 La difesa di Giovanni Domenico Scimonelli, 50 anni, presunto boss mafioso di Partanna, processato davanti la Corte d’assise di Trapani con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Lombardo, ucciso con due fucilate, a Partanna, il 21 maggio 2009, davanti il bar “Smart Cafè”, continua a perseguire piste “alternative” a quella di carabinieri e Dda.

E lo fa puntando su testimonianze che lasciano aperta la porta al dubbio. Come accaduto anche nell’ultima udienza, che ha visto deporre in aula investigatori e una figlia della vittima. Ad accusare Scimonelli di essere il mandante dell’omicidio di Salvatore Lombardo, 47enne pastore con precedenti penali, sono stati i due uomini che si sono autoaccusati come killer, Attilio Fogazza, 45 anni, di Gibellina, e Nicolò Nicolosi, anch’egli di 45 anni, di Vita. Fogazza e Nicolosi, che dopo l’arresto hanno deciso di collaborare con la giustizia, si sono autoaccusati dell’omicidio (a sparare è stato Nicolosi, mentre Fogazza era alla guida dell’auto) e lo scorso 21 aprile sono stati condannati a 16 anni di carcere ciascuno dal gup di Palermo Filippo Anfuso. Tra i testi ascoltati ieri nel processo a Scimonelli (difeso dall’avvocato Calogera Falco), il maresciallo dei carabinieri Fabio Proietti, che ha svolto le prime indagini subito dopo l’omicidio, effettuando la ricognizione del cadavere e ascoltando i familiari e i clienti del bar presenti al momento del fatto di sangue. Il sottufficiale ha detto che Salvatore Lombardo viveva di espedienti illeciti, furti, ricettazioni e spaccio di marijuana e cocaina. Attività, quest’ultima, che avrebbe svolto insieme ai figli Nicola e Luigi. Proietti ha confermato che la vittima dell’omicidio acquistava e vendeva cocaina ai cugini La Grutta di Marsala e trafficava anche con il trapanese Giammarinaro Francesco, nonché con i Mulè di Camporeale. L’investigatore ha, inoltre, confermato che grazie ad intercettazioni ambientali si è scoperto che la moglie di Lombardo e un figlio sono andati in campagna a prendere un fucile con matricola abrasa nascosto in un guard rail, anche se poi avevano negato di sapere che il congiunto tenesse armi ricettate. Proietti ha, infine, riferito che una testimone (Maria Pina Zappalà) ha dichiarato una foto (la “foto 14”), tra le 62 che le sono state mostrate, ritraeva un uomo “somigliante” a quello che ha sparato. E la foto 14 era quella di Giuseppe La Grutta, classe ’88. Poi, è stato ascoltato anche il luogotenente dei carabinieri Alberto Furia, che ha sostanzialmente confermato quanto riferito dal collega. Elementi sui quali insisterà l’avvocato difensore Calogera Falco nel tentativo di accreditare una pista “alternativa” a quella che vede attualmente Scimonelli come mandante. E nello stesso solco si inserisce anche la testimonianza di Barbara Lombardo, figlia dell’ucciso, che in aula ha detto che il padre, la settimana prima dell’omicidio, era “nervoso” e il 17 maggio, in campagna, erano venuti due soggetti di Marsala con una Smart nera. La giovane ha affermato di non conoscere i nomi dei due uomini che quel giorno parlarono con suo padre, anche se li aveva visti altre volte. Nella precedente udienza, però, un’altra teste, Samantha Trapani, aveva detto che uno dei due cugini Giuseppe La Grutta (classe ’75) aveva una Smart nera. La Corte, infine, ha disposto una perizia per tracciare, sulla base dei dati Gps, il percorso effettuato il giorno dell’omicidio dal Mercedes Vaneo in uso a Scimonelli.