Ha lasciato il carcere per i “domiciliari” il 51enne mazarese Francesco Maiale, arrestato lo scorso 4 ottobre nell’indagine antimafia coordinata dalle Procure di Roma e Caltanissetta che ha fatto luce sugli “affari” nella Capitale del clan Rinzivillo di Gela (37 arresti lo scorso 4 ottobre).
Francesco Maiale, al quale il Tribunale della libertà, su richiesta dell’avvocato difensore Luigi Pipitone, ha concesso gli arresti domiciliari, è accusato di estorsione aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa gelese.
“A distanza di soli 20 giorni dall’arresto – dichiara l’avvocato Luigi Pipitone – è questo il primo passo verso la dimostrazione dell’estraneità ai fatti del mio assistito”. Al centro dell’indagine c’è il boss Salvatore Rinzivillo, di 57 anni, scarcerato nel 2013 dopo aver scontato una condanna per mafia e da tempo residente a Roma.
Le accuse per i 37 indagati vanno dall’associazione mafiosa all’estorsione al concorso esterno, dall’intestazione fittizia di beni al traffico di droga e all’accesso abusivo a sistemi informatici.
Gli affari attraversavano il Paese fino ad arrivare all’estero, così come dimostrano gli arresti eseguiti a Roma, in Sicilia, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Germania. In più, 11 milioni di beni sequestrati. E’ stato questo il risultato delle operazioni “Druso” e “Extra fines”, che hanno visto il dispiegamento di circa 600 uomini appartenenti a Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Il lavoro fatto dalle Procure romana e nissena, coordinate da quella nazionale Antimafia e Antiterrorismo, mostra come l’organizzazione facente capo al clan gelese aveva messo pesantemente le mani sul Car (Centro Agroalimentare Romano) di Guidonia, punto di riferimento per molti operatori del settore romani e laziali. Il modus operandi era collaudato: si partiva dalle estorsioni per poi arrivare all’imposizione delle forniture e dei prezzi. E se qualcuno, dopo essere finito nella rete, cercava di sottrarsi alla morsa della cosca, non poteva farlo senza pagare un prezzo salatissimo. Le indagini erano state avviate a metà 2014, quando la Guardia di Finanza riesce a sventare un attentato dinamitardo a un capannone del Mercato ortofrutticolo di Fondi, in provincia di Latina. Mentre l’autorità giudiziaria cerca di far luce sull’accaduto, scopre che il principale sospettato dell’attentato non riuscito è in rapporti stretti con i Rinzivillo e in particolare proprio con Salvatore, considerato dagli investigatori l’attuale capoclan. Salvatore, una volta uscito dal carcere di Sulmona nel 2013, aveva scelto di non far ritorno nella sua terra d’origine ma di fermarsi a Roma, dove da una parte si impegnava a fare da riferimento per gli esponenti del suo clan che risiedevano in Sicilia e, dall’altra, aveva iniziato a intessere una fitta rete di rapporti che doveva consentire alla cosca proprio di ampliare e rafforzare il proprio business.