Luigi Di Maio compare e scompare a suo piacimento. E l’impressione è che stia ridisegnando la propria strategia, studiando ogni minima apparizione: pretende e seppellisce un confronto tv, si asserraglia in una casa di campagna con Giancarlo Cancelleri, spunta dopo ore al comitato elettorale di Caltanissetta per parlare appena qualche minuto prima di correre via. Fino alle 18 di ieri sera l’ultima volta che è stato avvistato in pubblico è stata alla cena degli sgarbi, venerdì, quando innervosito dalla presenza dei giornalisti ha chiesto al ristoratore di Palermo di farli sloggiare. Dopo quell’episodio Di Maio si è inabissato, per ricomparire su Facebook a spoglio appena iniziato, e ribadire che è lui a decidere con chi sedersi che sia in un ristorante o in un salotto tv. Ha annullato il dibattito con Matteo Renzi, e lo ha liquidato usando toni sprezzanti. Un capriccio o un calcolo preciso? Entrambi, da quello che sembra: perché è vero che non tutti ai vertici del M5S volevano quel confronto nato venerdì come un diversivo per far dimenticare la storia svelata dalla Stampa del condannato nella lista M5S, ma è anche vero che Di Maio aveva l’urgenza di accreditare alle prime proiezioni il risultato siciliano e di rilanciare se stesso. Ecco spiegato il contestuale annuncio del viaggio a Washington, al Congresso e al Dipartimento di Stato, dove sono previsti colloqui con esponenti repubblicani e democratici.
Il diretto protagonista di queste elezioni era Cancelleri, ma il vero volto è stato Di Maio. Lui ha scelto di affiancare il candidato sin dal primo giorno, lui si è praticamente trasferito in Sicilia, lui ha reso ogni singola contrada dell’isola una conquista vitale nell’avanzata verso Palazzo Chigi. E ora è lui a dover spiegare il senso di questa sconfitta che assomiglia a un successo ma non lo è fino in fondo. È solo il voto disgiunto di matrice Pd che ha premiato Cancelleri ma ha anche svelato il differenziale con la lista del M5S ferma al 26,7%. È comunque il primo partito, ma vale otto punti percentuali in meno del candidato. Di Maio ha preso tempo, per studiare e interpretare al meglio questo voto. Lo ha fatto isolandosi con Cancelleri e il fedelissimo consigliere regionale lombardo Stefano Buffagni. È l’uomo del Nord, che teorizza la nuova sfida alle destre che questa elezione certifica nell’isola dell’estremo Sud. Ed è quasi speculare la dichiarazione di fallimento del Pd che pronunciano Di Maio e poi in serata anche Silvio Berlusconi, in questo modo riconoscendosi reciprocamente come unici possibili avversari. Dopo anni di lotta contro il Pd, il M5S rispolvera l’antiberlusconismo per proiettarsi alla sfida contro l’ex Cav, la Lega Nord e i sovranisti emergenti a Ostia come a Catania.
Così di buon mattino Di Maio e lo staff della Casaleggio Associati prendono una decisione: «Se facciamo il confronto con Renzi lo rilegittimiamo, è un perdente, non possiamo più associarci alla sua immagine». La frase è di Di Maio ma in serata la scandirà chiaramente il deputato Manlio Di Stefano. Il capo politico grillino si limita a dire che «il voto ha completamente cambiato la prospettiva» e che non riconosce più Renzi come leader del Pd perché è il Pd a non riconoscerlo come tale. Ma aggiunge ai suoi: «I nostri avversari da ora in poi sono Berlusconi e il centrodestra». Il ballottaggio M5S-destra a Ostia sarà il primo test. E poco importa che sugli amati social e tra gli attivisti la base del M5S non sembra capire la capriola televisiva, Di Maio si convince della scelta giusta e, assaporando la sua personale vendetta, fa circolare la frase con cui Renzi rifiutò la sua offerta di un confronto tv alla vigilia del referendum del 4 dicembre, perché per il leader Pd aveva senso parlare «solo con Beppe Grillo o Davide Casaleggio».
La definizione della strategia di Di Maio deve passare dallo smantellamento del vecchio avversario e dal riconoscimento del nuovo. Nel suo breve messaggio, l’ eterno leader del centrodestra viene prima dell’ex rottamatore dem: «Da qui parte un’onda che ci può portare al 40 per cento di consensi nel Paese, abbiamo raddoppiato i voti del partito di Berlusconi e triplicato quelli del partito di Renzi. Questa siciliana è la vittoria degli impresentabili. Molti si pentiranno di non essere andati a votare». Quello dell’Isola resta un risultato che rende Grillo e Casaleggio «soddisfatti» ma che replicato a livello nazionale non basterà per agguantare il governo dell’Italia.