15,30 - Una foto rosa e nera, un dito che copre le labbra di una donna, con sopra un semplice commento: “Shhh”. Con questo invito al silenzio Maria Concetta Riina, figlia del noto boss di Cosa Nostra decedutoa notte scorsa a 87 anni nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma.Numerosi i messaggi di utenti che rivolgono alla figlia del boss corleonese le proprie condoglianze. “Il suo cuore resterà vicino a voi per sempre” e “Riposa in pace zio Totò” sono alcune frasi che si leggono tra i commenti. “
11,30 - La Procura di Parma ha disposto l'autopsia sulla salma di Totò Riina. La decisione di procedere all'esame medico legale è stata presa "trattandosi di un decesso avvenuto in ambiente carcerario e che quindi richiede completezza di accertamenti, a garanzia di tutti", ha spiegato il procuratore Antonio Rustico.
Le condizioni cliniche di Totò Riina si sono ulteriormente aggravate e poi precipitate una decina di giorni fa, quando dal reparto detenuti dell'ospedale Maggiore è stato trasferito in terapia intensiva-rianimazione, fino alla morte alle 3.37 di oggi, 17 novembre.
06,00 - È morto alle 4 del mattino di oggi, 17 novembre, il boss corleonese Totò Riina. Malato da tempo, era ricoverato nel Reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Il capomafia, in coma da giorni dopo due interventi chirurgici, aveva appena compiuto (giovedì 16 novembre) 87 anni.
Arrestato il 15 gennaio del 1993 dopo 24 anni di latitanza, era ancora considerato dagli inquirenti il capo indiscusso di Cosa nostra. Nelle ultime settimane Riina ha avuto un peggioramento e, dopo il doppio intervento chirurgico, i medici hanno da subito avvertito che difficilmente il boss,avrebbe superato le operazioni.
E infatti dopo l'ultimo intervento era entrato in coma. Riina, per gli inquirenti, nonostante la detenzione al 41 bis da 24 anni, era ancora il capo di Cosa nostra. Riina era malato da anni, ma negli ultimi tempi le sue condizioni erano peggiorate tanto da indurre i legali a chiedere un differimento di pena per motivi di salute. Istanza che il tribunale di Sorveglianza di Bologna ha respinto a luglio. Ieri, quando ormai era chiaro che le sue condizioni erano disperate, il ministro della Giustizia ha concesso ai familiari un incontro straordinario col boss.
Riina stava scontando 26 condanne all'ergastolo per decine di omicidi e stragi tra le quali quella di viale Lazio, gli attentati del '92 in cui persero la vita Falcone e Borsellino e quelli del '93, nel Continente. Sua la scelta di lanciare un'offensiva armata contro lo Stato nei primi anni '90. Mai avuto un cenno di pentimento, irredimibile fino alla fine, solo tre anni fa, dal carcere parlando con un co-detenuto, si vantava dell'omicidio di Falcone e continuava a minacciare di morte i magistrati. A febbraio scorso, parlando con la moglie in carcere diceva: "sono sempre Totò Riina, farei anche 3.000 anni di carcere". L'ultimo processo a suo carico, ancora in corso, era quello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, in cui è imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato.
I MISTERI. «Io non mi pento ... a me non mi piegheranno». Nessun cedimento, nessun passo indietro. Fino alla fine. Totò Riina, «la belva», così lo chiamavano in Cosa nostra per la sua crudeltà, ha pronunciato queste parole solo qualche mese fa parlando con la moglie nel carcere di Parma. Una vita da latitanti insieme, poi insieme a distanza, divisi dalle sbarre della cella, quella di Riina e Ninetta Bagarella. «Io non voglio chiedere niente a nessuno - le diceva riferendosi alle istanze che il suo legale avrebbe voluto presentare - mi posso fare anche 3000 anni no 30 anni».
Una conversazione, quella dei due coniugi, che ha confermato ai giudici, chiamati a decidere sulla compatibilità col carcere delle condizioni di salute del boss, che il capo dei capi era ancora vigile e lucido. E consapevole del suo ruolo. Parlando del direttore del carcere - annota il tribunale che ha respinto la richiesta di differimento pena per il padrino - «ha toccato il proprio petto a indicare se stesso e ha sostenuto di essere anche lui un capo». «Io sono Salvatore Riina ... e resterò ... e resterò nella storia», diceva alla moglie. E che lo scettro del capo di Cosa nostra fosse ancora suo l'ha scritto, a luglio, anche la Dia nella sua relazione semestrale sulla criminalità organizzata.
«L'ormai ottantaseienne boss corleonese continuerebbe ad essere alla guida di Cosa nostra a conferma dello stato di crisi di un'organizzazione incapace di esprimere una nuova figura in sostituzione di un'ingombrante icona simbolica», si leggeva nel documento. Nonostante l'età e lo stato di salute compromesso da anni, il padrino dunque non è mai tornato indietro. Solo tre anni fa conversando durante l'ora d'aria con un compagno di detenzione, Riina ha continuato a rivendicare le stragi, a minacciare di morte magistrati, a ricordare quando fece fare a Falcone «la fine del tonno».
Con lo Stato Totò u curtu, non ha mai voluto parlare. Recentemente al processo sulla cosiddetta trattativa il suo legale accennò a una intenzione di rispondere alle domande del pm. Ma Riina, steso su una branda, già in pessime condizioni, collegato in videconferenza, smentì all'udienza successiva. D'altronde, nelle sue prime apparizioni giudiziarie dopo la cattura il padrino sosteneva di aver saputo dell'esistenza di Cosa nostra da tv e giornali.