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23/11/2017 06:00:00

I giornalisti, le testate

E' successa qualche giorno fa una cosa che ha messo, per una volta incredibilmente, tutti d'accordo. Ormai l'abbiamo dimenticata (sempre per quella vecchia cara regola che vuole che nel nostro Paese l'indignazione duri tre giorni, non di più), quindi faccio bene a parlarne adesso.

 Mi riferisco alla testata, con tanto di frattura del setto nasale, che un giornalista precario della Rai ha ricevuto  ad Ostia, da un signorotto della malavita locale. 

   E' stato un episodio di tale gravità che  ha visto tutti schierati in campo nel coro unanime (tranne le solite, folcloristiche eccezioni locali) di condanna del gesto e di difesa del ruolo del giornalismo libero in Italia.

D’altronde quella testata l’abbiamo avvertita tutti non solo contro l’aggressione ad un bravo giornalista che tentava di fare bene il suo mestiere, ma anche come qualcosa scagliato con violenza contro la figura del giornalista in se, "difensore della democrazia nel Paese", come ho letto nei commenti, nelle reazioni, soprattutto nelle dichiarazioni dei politici in questi giorni.

Il problema, in casi come questi, è quando poi finisce la fiaccolata di solidarietà, si spengono i riflettori, si esce fuori da Ostia o da Scampia, o da questi luoghi d’Italia che fanno tanto Suburra (e ci piaccono perché sono scenografie che conosciamo, di gommorre e rese dei conti, fondi da fiction che non urtano mica la tranquillità del nostro giardino sul retro di casa…). Quando, insomma, finiscono quei tre giorni di scalpore che citavo all'inizio. E si arriva al quarto, al quinto, al sesto giorno e ai successivi. 

E rimane, oltre il video della testata, da girare e rigirare in loop, quello scatto improvviso e deciso - di una pulizia che fa spavento - e il dialogo che sembra uscito dalla serie cult Boris: “M’hai rotto er naso…!”, “ E tu m’hai rotto er cazzo…!!”, rimane, dicevo, come il senso di una domanda cattiva: ma siamo sicuri?

Ma siamo sicuri, dico, di essere sempre tutti dalla parte dei giornalisti, senza e senza ma, contro le aggressioni, le manganellate?
Io tante certezze non ho. Prendiamo ad esempio chi, in questi anni, ha contribuito a sminuire il ruolo dei giornalisti. Mi riferisco ai tanti assertori della “verità della rete”, coloro che sostengono che un giornalista è sempre un prezzolato portavoce di qualche potere forte, qualche lobby, e che parla a gettone, perchè è un pennivendolo, nascondendo le verità che invece solo la Rete, la grande Rete dà: i vaccini, i complotti economici, l’invicibile mafia e via dicendo.
O i politici che, di tanto in tanto, fanno la lista di giornalisti buoni e giornalisti cattivi. Quanti ne ho visti, in questa ultima campagna elettorale, scimmiottare sempre le stesse pose... 

E l'avvocato Taormina, il redivivo Taormina, che se la prende con i giornalisti commentando le gesta del suo assistito Cateno De Luca. E Beppe Grillo, che qualche giorno fa ha detto: "Io i giornalisti me li mangerei per il gusto di vomitarli".  Potrei continuare...

Il fatto è che oggi i giornali scompaiono.
Scompaiono le testate giornalistiche. 
E le uniche testate rimaste sono quelle, figurate o meno, che noi giornalisti prendiamo sul muso ogni giorno.

Io di quelle che subisco parlo sempre malvolentieri. Sono un incassatore nato, sotto certi aspetti. Ma già che ci siamo, parliamone.
Quante testate ricevo ogni giorno? Insulti, minacce, battute grevi, anche da persone insospettabili, che sfogano sul povero giornalista di quartiere tutta la loro rabbia repressa. Mi fa male ancora la testata datami da un ex Sindaco di Marsala che mi citò per danni a nomi di tutti i cittadini (e pagando un avvocato con i loro soldi) perché considerava la mia attività giornalistica un danno di immagine al Comune di Marsala.
Era il 2014, ma da allora per me è cambiato poco. Solo in queste ultime settimane (come abbiamo ricordato ieri su Tp24.it)  ho ricevuto tre querele, tutte e tre assolutamente pretestuose, intimidatorie, volte solo a farmi perdere tempo ed energia. E tutte ottenute senza dare del pezzo di merda a nessun morto, ma cercando di fare un giornalismo che racconti storie e che sposi il ragionamento più che lo slogan, o l’insulto facile. Non è cosa semplice, l'ho visto in questi giorni di commenti sulla morte di Totò Riina, ma in realtà lo vedo ogni giorno su fatti piccoli e grandi. E  mi mette una gran tristezza. Perchè al di là dei colpi incassati, l'amarezza più grande rimane la constatazione che  a volte noi giornalisti, soprattutto nel campo dell’antimafia, pur di comparire in video con il nostro bel naso tumefatto, le testate siamo bravissimi a darcele da sole.

Giacomo Di Girolamo