Siamo proprio sicuri che l’amministrazione di una città come Castelvetrano sia davvero riconducibile unicamente al suo sindaco?
L’impressione è che, al di là del ruolo politico e civico di rappresentanza del primo cittadino, esista un sistema di gestione concreta della cosa pubblica, dotato di una vita propria. Una sorta di governo nel governo, probabilmente presente in tante altre città.
Ha forse origine dal riconoscimento dei limiti e, paradossalmente, anche dei pericoli dell’amministrare secondo legalità? E’ un’accettazione di uno status quo frutto di compromessi necessari in un contesto tribale incompatibile con i più elementari principi civici?
La possibilità che questo sistema più o meno allargato possa avere una sua ramificazione nel territorio e una forza intrinseca che prescinde dai sindaci o dai commissari straordinari, ci fornisce in realtà una misura della resistenza al cambiamento.
E’ come se la vita amministrativa si svolgesse su binari separati: quello politico-burocratico e quello dell’ambito pratico. Le innumerevoli bonifiche del porto di Marinella di Selinunte, senza appalto perché con somma urgenza e lo smaltimento delle relative alghe, sono già un esempio della distanza abissale che a volte c’è tra “le carte” e la realtà sotto gli occhi di tutti.
Ma com’è oggi la situazione? C’è davvero la possibilità di considerare il commissariamento come una risorsa da cavalcare per il cambiamento?
C’è un settore dell’amministrazione comunale di cui ci siamo occupati approfonditamente nel corso di questi ultimi anni: la lotta al randagismo. Certo, potrebbe sembrare un ambito forse troppo lontano dallo sviluppo economico della città o dai problemi occupazionali alla base di una sempre più crescente povertà. Ma le dinamiche che hanno attraversato questo “servizio” potrebbero aver avuto un approccio simile anche in altri settori.
Diamo intanto una notizia: la commissione straordinaria ha individuato un nuovo responsabile del canile municipale al posto del dottor Giacomo Triolo. Il dipendente comunale Giuseppe Gullo dovrebbe sostituirlo a giorni.
Nel maggio del 2016 l’Enpa locale aveva raccolto più di 2300 firme per questa sostituzione (qui il testo della petizione), ma la risposta di Vincenzo Chiofalo, allora vicesindaco, era stata negativa. Secondo l’assessore infatti, il dottor Triolo avrebbe operato “da anni presso il nostro Comune, con dedizione ed impegno”. Peccato però che i frutti di questo impegno non abbiano quasi mai soddisfatto i cittadini, soprattutto quelli che durante le segnalazioni di cani incidentati o in difficoltà, si sentivano rispondere: “Mi dispiace, sono fuori sede”.
Ci si chiede però se davvero il problema principale delle inefficienze degli interventi contro il randagismo e del soccorso degli animali feriti sia stato legato unicamente al comportamento del dottor Triolo. E ci si chiede perché, per esempio, le carcasse di alcuni randagi morti in città siano state rimosse ma non siano mai arrivate in canile per poi essere smaltite per legge.
A questo proposito, forse giova raccontare un curioso episodio avvenuto quest’estate, quando un paio di ragazzi aveva segnalato più volte la presenza di tre randagi morti forse per avvelenamento, in una popolosa strada di Triscina.
Il Comune intervenne dopo un paio di giorni, quando l’afa aveva reso l’aria ormai irrespirabile.
Venne un mezzo della raccolta rifiuti con dietro attaccato un cassonetto e, quando i ragazzi che avevano fatto la segnalazione chiesero agli operatori dove avessero intenzione di portarli, si sentirono rispondere candidamente: “In discarica. Così ci hanno detto”.
E siccome tra i residenti c’era anche un’animalista dell’Enpa, che sapeva bene che cosa la legge imponesse di fare in quei casi, l’operazione si interruppe. Gli operatori chiamarono al telefono Triolo (che li aveva mandati lì) e l’animalista fece accorrere la presidente della sezione locale dell’Enpa. Gli animi si surriscaldarono forse ancora di più rispetto alla carcassa, alla presenza di Polizia Municipale, del dirigente Giuseppe Barresi e dei Carabinieri. Si stava impedendo un pubblico servizio (seppur curioso), oppure si stava tentando di buttare il cane chissà dove?
Venne fuori che mai e poi mai il cane sarebbe finito in discarica: gli operatori avevano certamente capito male. Il problema era che il mezzo del canile era guasto ed allora, “in un’ottica di collaborazione tra servizi”, quello era l’unico modo per portare la carcassa nella struttura di via Errante Vecchia, metterlo nel congelatore e poi inviarlo all’Istituto Zoo Profilattico di Palermo per gli esami previsti dalla legge nei casi di sospetto avvelenamento. Nel frattempo era pure arrivato il veterinario reperibile, che aveva fatto i propri rilievi.
Visto che la cosa puzzava un po’ (e non solo letteralmente), anche l’Enpa volle accertarsi che la carcassa sarebbe finita davvero in canile. Ma arrivati in via Errante Vecchia, sorpresa: il congelatore è pieno. Dove li mettiamo?
A quel punto, il dottor Triolo propose di riempire di ghiaccio il cassonetto con i tre cani dentro, in modo che potessero mantenersi fino a lunedì (era sabato) ed essere poi trasportati a Palermo. Ma siccome la cosa fu considerata una semplice battuta di spirito, forse prodotta dal particolare stress del momento, tirò fuori il piano B: li si sarebbe potuti sistemare nella camera mortuaria del cimitero. D’altra parte, oltre che del canile, il dottor Triolo era responsabile anche dei servizi cimiteriali. Ma proprio quel giorno era morto un vecchietto e anche quest’ipotesi venne scartata.
Al dirigente Barresi non rimase che chiamare il capo dell’ufficio tecnico pro tempore, Andrea Di Como, per chiedere l’autorizzazione d’emergenza all’acquisto immediato di un congelatore di grandi dimensioni. Autorizzazione accordata. Ed in serata il nuovo freezer da 600 euro venne messo accanto a quello vecchio. Ma per raggiungere la temperatura adeguata ci sarebbero volute ore. Per cui si decise di mettere le “vecchie” carcasse nel nuovo congelatore e i tre cani di Triscina in quello vecchio, che era già freddo. Operazione che vide coinvolto, con tanto di guanti, perfino il dottor Di Como. Caso più unico che raro, quello del capo dell’ufficio tecnico di un comune che si trova a movimentare cani morti da un congelatore all’altro.
Ma il problema principale riguarda i cani vivi. A parte il dottor Triolo, esiste personale del comune in grado di eseguire gli accalappiamenti? Non solo di cani sani, ma soprattutto di cani feriti o in difficoltà? Certo che sì. Ci sarebbero infatti almeno 7 persone con tanto di corso di formazione su “Randagismo ed animali d’affezione” dell’ottobre 2014, organizzato dall’Asp e garantito come una sorta di patente di accalappiamento. Peccato che nei tre anni successivi nessuno di loro ha mai accalappiato nemmeno un peluche.
I risultati in termini di adozioni e sterilizzazioni sono stati però possibili grazie al personale sanitario del canile e all’apporto delle associazioni animaliste Enpa ed Oipa. Per esempio, il mezzo della sezione locale dell’Enpa ha sostituito di fatto per mesi il furgoncino del canile, con un apporto considerevole di volontariato puro della stessa associazione anche per gli accalappiamenti.
C’è da chiedersi se la commissione straordinaria avrà la possibilità di ridurre questa distanza tra l’amministrazione apicale e quella periferica che, immaginiamo, possa essere presente anche in ambiti diversi dal canile municipale e dalla lotta al randagismo.
Egidio Morici