Davanti al giudice monocratico Matteo Giacalone, ha respinto ogni accusa il 44enne appuntato della Guardia di finanza Biagio Foderà, accusato di maltrattamenti alla moglie: la 42enne Antonia Castelli.
Ma non è questo il primo processo per il sottufficiale con l’accusa di violenze fisiche in danno della moglie. Un anno fa, infatti, è stato condannato dal giudice Lorenzo Chiaramonte a sei anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici per lesioni gravissime in danno di Antonia Castelli.
A quest’ultima, infatti, secondo l’accusa, il 12 gennaio 2010, con calci e pugni, il Foderà avrebbe procurato la rottura della milza, poi asportata in ospedale. Teatro dei fatti è stata la loro abitazione di Mazara. La donna, in fase d’indagine, aveva dichiarato di essersi fatta male accidentalmente, a seguito di una caduta tra le mura di casa, ma il 23 giugno 2016, in aula, in lacrime, dichiarò che fu il marito a picchiarla, dopo che lei confessò una passione per un altro uomo. A ribadire agli inquirenti la tesi dell’accidentalità erano stati anche i familiari (genitori e fratelli) di Antonia Castelli. Ma dalle intercettazioni telefoniche effettuate sulle utenze del nucleo familiare, gli investigatori (sezione di pg della Guardia di finanza della Procura) trassero la convinzione che a provocare quelle gravi lesioni alla donna sarebbe stato il marito. Per gelosia. E sugli sviluppi di quell’indagine è nato anche il procedimento per maltrattamenti. Lo scorso ottobre, questo secondo processo era entrato nel vivo con la deposizione del luogotenente Antonio Lubrano, ex responsabile della sezione di pg della Guardia di finanza della Procura marsalese. Pubblico ministero, in entrambi i processi, il sostituto procuratore Giulia D’Alessandro. Rispondendo alle sue domande, il luogotenente Lubrano ha ripercorso le fasi in cui ha conosciuto Foderà e la moglie. Ricordando l’iniziale reticenza di quest’ultima sui fatti del 12 gennaio 2010. Decidendosi a parlare solo dopo gli “ulteriori maltrattamenti subiti dal marito nel 2015”. E cioè, ha detto l’investigatore, quando “non ce l'ha fatta più” ed è “venuto fuori tutto quello che doveva dire sia la vera vicenda del 2010 che i maltrattamenti subiti”. Per Foderà, difeso dall’avvocato Giovanni Lentini (la Castelli è parte civile con l’assistenza dell’avvocato Marilena Messina), scattò, quindi, il secondo procedimento penale, che nel novembre 2015 sfociò nella misura cautelare di divieto di dimora a Mazara disposta dal gip Riccardo Alcamo su richiesta della Procura. Il reato inizialmente ipotizzato dall’organo inquirente era stato lo “stalking”. Con Biagio Foderà sono imputate anche altre tre persone indicate come testimoni dalla vittima, ma che secondo l’accusa di non avrebbero detto la verità quando furono interrogate.