Nel processo ai “postini” di Messina Denaro, l’impianto accusatorio della Dda ha retto al vaglio del Tribunale di Marsala. Tre dei quattro imputati sono stati, infatti, condannati.
Il procedimento è quello scaturito dall’operazione antimafia “Ermes” del 3 agosto 2015. La pena più severa, 13 anni e 4 mesi, è stata inflitta al 47enne salemitano Sergio Giglio, allevatore pregiudicato.
. A 12 anni, invece, è stato condannato Ugo Di Leonardo, 75 anni, ex geometra del Comune di Santa Ninfa. Tre anni e 4 mesi, infine, per Leonardo Agueci, di 29, ragioniere, di Gibellina.
Per i tre condannati anche una serie di pene accessorie e risarcimento danni alle parti civili: 15 mila euro ciascuno ai Comuni di Castelvetrano, Salemi e Santa Ninfa, 3 mila euro ciascuno all’associazione antimafie e antiracket “La verità vive” di Marsala (ex "Paolo Borsellino", poi i parenti del giudice diffidarono l'associazione e la costrinsero a cambiare nome...), rappresentata dall’avvocato e dominus Peppe Gandolfo, all’Antiracket e a Confindustria Trapani (avvocato Giuseppe Novara), all’Antiracket Alcamo, al Centro studi “Pio La Torre” e a Codici Sicilia (avvocato Giovanni Crimi). E’ stato, invece, assolto (“perché il fatto non sussiste”) Giovanni Mattarella, di 51, commerciante, genero del defunto boss mafioso di Mazara del Vallo Vito Gondola. Era proprio quest’ultimo il principale imputato del processo, ma è deceduto per una grave malattia, all’età di 79 anni, nella notte tra il 12 e il 13 luglio scorsi, all’ospedale di Castelvetrano. Il 7 novembre, i pm della Dda Carlo Marzella e Gianluca De Leo avevano invocato la condanna di tutti gli imputati a pene tra i 16 e i 3 anni di carcere. Nel processo, a tratteggiare, in aula, la figura dell’imputato al quale è stata inflitta la pena più dura era stato il colonnello della Guardia di finanza Rocco Lo Pane, capo della Dia di Trapani, che ha detto: “Sergio Giglio si è posto come referente o interlocutore in vicende mafiose relative ad estorsioni”. L’ufficiale delle Fiamme Gialle fu chiamato a deporre anche sulle ultime intercettazioni acquisite al processo. Quelle effettuate, tra il 2012 e il 2013, dai carabinieri e poi riesaminate dalla Dia alla luce di nuovi dati investigativi nel frattempo acquisiti. Lo Pane ha spiegato che da queste intercettazioni ambientali (“cimice” sull’auto di Girolamo Scandariato, figlio di Nicola Scandariato, storico capomafia di Calatafimi, entrambi arrestati nell’operazione “Arca” del febbraio 2000) emerge che Salvatore Mercadante fu “bruscamente” convocato dal Giglio, che avrebbe temuto sue possibili dichiarazioni su una tentata estorsione a due fratelli (Lombardo) che gestivano una pizzeria a Castellammare. “Questo – ha affermato Lo Pane – indica una certa autorevolezza del Giglio”. Dalle intercettazioni, ha proseguito l’investigatore, emerge anche che i contatti tra Girolamo Scandariato (che dopo l’operazione “Arca” patteggiò una condanna per mafia) e Giglio sarebbero stati “numerosi”. E il 47enne pastore pregiudicato salemitano avrebbe avuto “il ruolo di chi doveva convincere le vittime a pagare”. A difendere Giglio sono gli avvocati Carlo Ferracane e Celestino Cardinale, che alcuni mesi fa avevano chiesto, inutilmente, che Vito Gondola testimoniasse in aula. I due legali, infatti, puntavano a dimostrare che gli incontri tra Gondola, Giglio, Michele Gucciardi, presunto capomafia di Salemi, e Michele Terranova non erano per smistare i “pizzini”, ma per condurre complesse trattative per la vendita di un gregge di pecore. La difesa ha, inoltre, sottolineato che “gli stessi pm hanno detto che i pizzini non sono stati mai visti o sequestrati”. A difendere gli altri imputati sono stati gli avvocati Giuseppe Ferro di Gibellina, Filippo Triolo, Sebastiano Dara e Walter Marino. E ieri, quest’ultimo è stato l’unico ad esprimere soddisfazione. Il suo assistito, infatti, è stato assolto.