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25/12/2017 10:15:00

Cantina Settesoli, lettera aperta di Salvo Ognibene a Vito Varvaro

Gentile dott. Varvaro,

sono Salvo Ognibene, figlio e innamorato di Menfi e della Sicilia.

Sono convinto che si parta per tornare, senza mai andare via.

Andare via é una scelta. E scegliendo si rinuncia sempre a qualcosa.

Nonostante i miei studi “fuori”, mi sono sempre interessato della “mia” comunità, seguendo, passo passo, la vita politica, amministrativa e sociale, oltre che della Nostra Settesoli.

Scrissi anche di Lei, quando fu eletto, nel 2011. Ne scrissi con la speranza che potesse portare novità e miglioramenti in quella cooperativa che, per buona parte dei menfitani e della comunità belicina tutta, non è una mucca da mungere ma un investimento continuo.

E’ sudore, vita. E non sto parlando dei 2.000 soci di cui si parla spesso ma dei singoli agricoltori che per una vita intera hanno sognato, senza perdere entusiasmo e lavorando tantissimo, quella che la Settesoli è. Perché la Settesoli è un sogno. Un sogno che va ben oltre le persone e che deve essere solo fiera del suo passato e di chi ha fondato e amministrato questa azienda fino ad oggi, o quanto meno dei progetti condivisi che hanno portato lustro e che hanno fatto crescere questa cooperativa.

A leggere le Sue dichiarazioni parrebbe un sogno mai iniziato, o forse, una favola in cui i protagonisti sono sempre le principesse da salvare e mai chi lotta per esse, superando grandi ostacoli e combattendo contro i draghi e le creature malvagie.

Nessuno si é permesso di mettere in discussione le Sue qualità da manager, così come nessuno le aveva messe in dubbio nel 2011, anzi. 

Ho letto i Suoi commenti e, con grande dispiacere, devo dire, li ho trovati privi di sogni e di amore ma pieni di astio e rancore. 

La Settesoli, con i suoi 2.000 soci, rappresenta la più grande anima della Sicilia del vino. 2.000 persone che non servono a farsi pubblicità ma che ci ricordano, ogni giorno, il valore dello stare insieme, la solidarietà, la democrazia, l’unione e non la politica dell’uomo solo al comando.

Lei parla di “complotti”, di “mandanti”, di giovani di Menfi che ha lasciato “piangenti e scoraggiati” e che, addirittura, starebbero “cercando altro lavoro in aziende del Nord”. Racconta di una comunità “che era pronta ad investire sul futuro, comunità di imprenditori agricoli, che pur rappresentando la maggioranza dei vigneti ha voto minoritario in una cooperativa dove ogni testa è un voto a prescindere dalla estensione dei vigneti”. Ma davvero Lei pensa tutto questo? E se ogni testa è un voto, così come le regole più elementari della democrazia rappresentativa vorrebbero, come si spiega che dei 1.674 soci che hanno manifestato il proprio voto, anzi, i propri voti (per chi non lo sapesse ogni socio aveva per statuto a disposizione 9 voti per scegliere tra i 15 candidati), soltanto in 517 Le hanno manifestato la propria fiducia?

Dove sono stati i giovani di Menfi e del territorio nel suo progetto? Dove? Dove sono stati i viticultori ed i soci in questi Suoi sei anni di mandato? 

La Settesoli è patrimonio collettivo di questa comunità, che non appartiene a nessuno se non a se stessa, e, le somme, le hanno tirate quei 1.674 soci che si sono espressi, votando un Consiglio di Amministrazione vincolato dalle preferenze che il Cda da Lei presieduto ha scelto. 

Ho deciso di tornare nella mia terra, di vivere qui. E lei? Dice di andare via dalla Sicilia e che non tornerà più a lavorare per questa terra ma dove è stato in questi sei anni? Qual è stato il suo rapporto con il territorio e con la comunità della Settesoli?

La Settesoli non é un’azienda come le altre, è una cooperativa. 

Una cooperativa che fa della condivisione la sua qualità migliore. 

Che ha bisogno di essere abitata, che insegna che fare azienda significa far crescere la sua comunità.

Sono tornato in Sicilia per restarci.

Una scelta difficile, anzi, difficilissima, ma vera e piena di amore e speranza. 

Quella speranza che trasforma i sogni in realtà



Saluti

Salvo Ognibene