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16/01/2018 17:57:00

Rosanna Belvisi, uccisa con 29 coltellate dal marito. Sentenza choc: "Non ci fu crudeltà"

 Sentenza choc per il caso di Rosanna Belvisi, la donna di Pantelleria uccisa dal marito con 29 coltellate. Per il giudice non c'è stata crudeltà. Il 15 gennaio del 2017 Luigi Messina uccise la moglie Rosanna Belvisi con 29 coltellate nella loro casa di via Coronelli, a Milano. L’uomo è stato condannato a 18 anni di carcere perché, come ha scritto il giudice nelle motivazioni della sentenza, non c’è stata l’aggravante della crudeltà: le coltellate furono sferrate “verso regioni del corpo vitali”, senza l’intento “di arrecare sofferenze aggiuntive alla propria consorte”.

E la «consecuzione ossessiva dei colpi», pure innegabile, l’effetto di «un raptus e di una deflagrazione emotiva incontrollabile, piuttosto che la realizzazione di un deliberato intento di arrecare sofferenze aggiuntive alla propria consorte», proprio perché i fendenti raggiunsero solo punti vitali. Con queste motivazioni il gup di Milano Livio Cristofano ha escluso l’aggravante della crudeltà a carico dell’uomo, condannandolo in primo grado a una pena relativamente bassa, con lo sconto previsto per il rito abbreviato: 18 anni di carcere per omicidio volontario.

Luigi Messina e la moglie, Rosanna Belvisi, erano appena tornati da una vacanza a Pantelleria. Un anno fa, la mattina del 15 gennaio, la coppia aveva fatto l’amore e poi colazione insieme nell’appartamento in via Coronelli, nellaperiferia di Milano. Una tranquillità interrotta da una violenta lite, l’ennesima, sfociata poi nell’omicidio. Luigi Messina, ex guardia giurata di 53 anni, aveva afferrato un coltello e si era scagliato contro la donna colpita con 29 fendenti. Poi era uscito di casa, era andato in pasticceria a comprare i babà e aveva giocato alle slot machine, vincendo anche 70 euro.

Un tentativo per crearsi un alibi: in un primo momento aveva raccontato agli agenti della Squadra mobile di aver trovato la moglie morta in casa. Poi, messo alle strette, aveva confessato. Un delitto che si inserisce in un quadro di rapporti burrascosi tra i coniugi, e di maltrattamenti subiti dalla donna, già accoltellata alla schiena nel 1995. Una vita che la figlia, Valentina, aveva descritto come «un inferno». Lo scorso ottobre l’uomo è stato quindi condannato, ma la pena stabilita è nettamente inferiore rispetto ai 30 anni di carcere chiesti dal pm Gaetano Ruta. Questo proprio per l’esclusione dell’aggravante della crudeltà. Secondo il giudice «si è trattato di un reato d’impeto caratterizzato da rabbia esplosiva», un raptus. «L’aggravante dell’aver agito con crudeltà – si legge nelle motivazioni della sentenza – non può ravvisarsi nella mera reiterazione dei colpi di coltello inferti alla vittima se tale azione (…) non trasmoda in una manifestazione di efferatezza».

Dalle relazioni del medico legale, infatti, «risulta che, delle 29 lesioni accertate, tutte sono concentrate verso regioni del corpo vitali». Quindi, conclude il gup, «nessun colpo veniva diretto verso regioni del corpo che potessero arrecare solamente dolore, sofferenza o scempio del corpo, e non essere finalisticamente rivolto a cagionare la morte della vittima». Se Luigi Messina avesse sbagliato bersaglio, magari ferendo la donna al braccio, paradossalmente avrebbe rischiato una condanna più severa. La pena, per l’uomo, potrebbe ridursi ulteriormente. Il suo difensore, l’avvocato Daniele Barelli, ha presentato ricorso in appello chiedendo di riconoscere le attenuanti generiche perché Luigi Messina, confessando, «ha apportato un grande contributo alle indagini».