Arringhe difensive nel processo con rito abbreviato, davanti al gup di Palermo Maria Cristina Sala, a 13 persone coinvolte nell’operazione antimafia “Ermes 2”.
Nell’ultima udienza, è stato il turno degli avocati Luigi Pipitone e Walter Marino, legali dei fratelli mazaresi Carlo Antonio e Giuseppe Loretta, di 51 e 37 anni, accusati di associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni ad altri, nonché delle loro mogli, Vita Anna Pellegrino e Grazia Maria Vassallo, accusate di essere “prestanomi” dei mariti in due aziende, la Mestra e la Medioambiente.
“Non ci sono gli estremi per contestare il reato di associazione mafiosa ai fratelli Loretta – hanno sostenuto, in aula, gli avvocati Pipitone e Marino - Le frasi captate nelle intercettazioni non sono chiare e univoche”. L’indagine “Ermes 2”, condotta dalla polizia, il 20 dicembre 2016 sfociò nell’arresto dei mazaresi Epifanio Agate, 44 anni, figlio del defunto storico boss mafioso Mariano Agate, dei fratelli Loretta, e di Angelo Castelli, di 72 anni. Ad Epifanio Agate si contesta l’attribuzione fittizia di beni (quote delle società mazaresi “My Land” e “Fishmar”) ad altre persone, nonché il reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso. E l’attribuzione fittizia di quote di società (“Mestra” e “Medioambiente”) ad altre persone, oltre che 416 bis (associazione mafiosa), è contestata anche ai due Loretta, fratelli di Giovanni Loretta, autotrasportatore, coinvolto nell’operazione “Ermes 1” e già condannato, in primo grado, a 4 anni di carcere per favoreggiamento alla mafia. “Ma se avessero voluto eludere le misure di prevenzione – hanno continuato gli avvocati Pipitone e Marino – i fratelli Loretta non avrebbero intestato le società Mestra e Medioambiente alle loro mogli, in quanto sarebbe stato facile per la giustizia arrivare a loro. Hanno intestato le ditte alle mogli solo per poter lavorare. Non per agevolare la mafia”. Walter Marino difende anche Castelli, accusato di favoreggiamento a Cosa Nostra per aver messo a disposizione il suo autolavaggio per incontri tra mafiosi, e Andrea Alessandrino, 44 anni, anche lui accusato di essere “prestanome” per una delle aziende dei Loretta (Medioambiente). Ma per Alessandrino il legale ha fatto leva sulla pronuncia della Cassazione, che a fine aprile 2017, ha annullato le misure cautelari di obbligo di dimora nel Comune di Mazara e di presentazione alla pg per carenza di “gravi indizi di colpevolezza”. Le arringhe difensive (avvocati Paolo Paladino, Luigi Laudicina, Giuseppe Pinta e altri) proseguiranno il 21 febbraio. Poi, le repliche dei pm Gianluca De Leo e Giacomo Brandini, che hanno già invocato la condanna di tutti gli imputati. Chiesti, complessivamente, oltre 40 anni di carcere. La pena più pesante (14 anni di carcere) i pm della Dda l’hanno invocata per Carlo Antonio Loretta, mentre 7 anni e 4 mesi ciascuno sono stati chiesti per Epifanio Agate e Giuseppe Loretta. Meno severe le altre richieste avanzate dai pm al termine della loro requisitoria. Due anni di reclusione a testa sono stati chiesti per Angelo Castelli, nonché per Rachele Francaviglia, moglie di Epifanio Agate, che insieme a Nicolò Passalacqua e alla russa Nataliya Ostashko era intestataria della “Fishmar”. Per Passalacqua è stato chiesto un anno e 4 mesi, per la Ostashko invece 10 mesi. Due anni di reclusione è stata la richiesta anche Grazia Maria Vassallo e Vita Anna Pellegrino, mogli rispettivamente di Giuseppe e Carlo Antonio Loretta, anche loro accusate di intestazione fittizia. Sempre per lo stesso reato, un anno e mezzo ciascuno è stato chiesto per Andrea Alessandrino e Paola Bonomo, dipendenti della “Mestra”, accusati di attribuzione fittizia di beni in concorso per la società “Medio Ambiente”. E un anno e mezzo è stato invocato anche per il castelvetranese Filippo Siragusa, giornalista, ex portavoce del deputato regionale Mimmo Turano durante la presidenza alla Provincia di Trapani e ormai ex collaboratore del Giornale di Sicilia, accusato di essere un “prestanome” dei Loretta nella società “Medioambiente”. Dieci mesi, infine, è stata la richiesta per Francesco Mangiaracina, marito di Nataliya Ostashko e cognato dell’ex capomafia mazarese, poi pentitosi, Vincenzo Sinacori. “My Land” e “Fishmar” sono due aziende operanti nel settore dei prodotti ittici congelati ed Epifanio Agate avrebbe fatto ricorso ai “prestanomi” per evitare i “rigori della normativa antimafia”.