"Possiamo affermare che l'arresto del boss Salvatore Riina e la mancata perquisizione del covo di via Bernini sono il frutto di un compromesso vergognoso, noto solo a poche persone tra cui gli odierni imputati Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni". Lo ha sostenuto il pm Vittorio Teresi, nella sua requisitoria al processo sulla trattativa tra Stato e mafia.
Davanti la Corte d'Assise di Palermo, il pm ha spiegato che "il dialogo e la trattativa portata avanti dal Ros è un segreto sigillato e conosciuto da pochissime persone. Non ne furono partecipi le istituzioni e i magistrati che indagavano sulla criminalità organizzata e che sostenevano quella linea della fermezza secondo la quale non si poteva scendere a compromessi con Cosa nostra".
Totò Riina, recentemente deceduto, è stato catturato a Palermo dopo oltre 20 anni di latitanza il 15 gennaio del 1993. Secondo l'accusa, nel processo sulla trattativa, Riina venne "consegnato" ai carabinieri dall'ala di Cosa nostra vicina a Bernardo Provenzano. L'ipotesi è che Riina, con cui i militari del Ros imputati al processo avevano intavolato un dialogo finalizzato a far cessare le stragi, era ritenuto un "interlocutore" troppo intransigente. Perciò gli si sarebbe preferito Provenzano, fautore della linea della sommersione, e lontano dall'idea del "papello", l'ultimatum che Riina avrebbe presentato allo Stato tramite i carabinieri.
"Era chiaro che tutto questo doveva essere tenuto segreto - ha spiegato Teresi - e dopo la cattura di Riina e l'uscita di scena anche di Ciancimino le linee dell'accordo sono chiare e si passa ai fatti". "Così come per i carabinieri è fondamentale mantenere il segreto sulla cattura di Riina - ha aggiunto il magistrato - altrettanto è importante, per la mafia, che nulla trapeli sul fatto".