Dovrà tornare in tribunale Antonio D’Alì, il senatore trapanese, dal 1994 in Parlamento, su cui da anni piombano sospetti di una sua vicinanza con Cosa nostra.
L’accusa è quella di concorso esterno in associazione mafiosa, la stessa dal 2011, da quando è cominciato il primo processo a suo carico. Sempre con rito abbreviato, sempre finiti con la stessa formula. Sia in primo che in secondo grado il senatore trapanese, appartenente a una delle più potenti famiglie del territorio, ex proprietari di banche, è stato prescritto per una parte per i fatti fino al 1994 e assolto per il periodo successivo, che arriva fino al 2011.
La Corte di Cassazione, però, nei giorni scorsi, non ha messo la parola fine. Accogliendo il ricorso del pg Nico Gozzo ha annullato con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo la sentenza di secondo grado. Così, con la sentenza cancellata, si dovrà ricelebrare il processo.
Secondo il Pg Gozzo la sentenza di secondo grado era “illogica” e c’erano “le prove per condannarlo”.
Per questo si era opposto alla mancata riapertura del dibattimento in cui avrebbe voluto sentire dei testi ritenuti decisivi. Tra questi l’ex capo della polizia De Gennaro, l’ex capo della squadra mobile di Trapani Giuseppe Linares. Proprio sul trasferimento di Linares a capo della Dia di Napoli si basa una delle accuse al senatore D’Alì. Secondo l’accusa fu il senatore, allora sottosegretario all’Interno, a chiedere il trasferimento di Linares. Tra le persone che voleva sentire il Pg c’erano anche i collaboratori di giustizia Giovanni Ingrasciotta e Nino Birittella, nonchè il sacerdote Ninni Treppiedi. Il parroco per un periodo fu molto vicino al senatore, e secondo l’accusa ne ricevette confidenze anche su eventuali rapporti con la consorteria mafiosa. Questi testi potrebbero parlare e per il Pg sarebbero utili soprattutto per il periodo più recente, quello su cui i giudici sia d’appello che di primo grado hanno assolto Tonino D’Alì. In quest’ottica si inserisce anche il caso del prefetto Fulvio Sodano, trasferito da Trapani nel 2003 dopo che si oppose al tentativo di Cosa nostra di riappropriarsi della Calcestruzzi Ericina già confiscata. Secondo l’accusa in questa storia ci fu l’intervento di D’Alì. Per il pg Gozzo "D'Alì con piena coscienza e volontà ha favorito Cosa nostra per più di 20 anni".
Un punto centrale, però, in tutti questi anni di indagini, e di processi, sono i rapporti della famiglia D’Alì con la famiglia Messina Denaro.
Francesco Messina Denaro, uomo di fiducia dei corleonesi e padre del super latitante Matteo, è stato assodato, era campiere nei terreni di D’Alì, in contrada Zangara a Castelvetrano. Uno dei terreni sarebbe stato venduto fittiziamente da D’Alì a un prestanome di Messina Denaro e Totò Riina, il gioielliere di Castelvetrano Francesco Geraci. A Geraci, poi pentito, D’Alì avrebbe restituito i 300 milioni di lire della vendita. Su questi fatti è caduta la prescrizione, e anche su questi fatti la difesa del senatore ha respinto le accuse sostenendo che in realtà la vendita doveva avvenire in favore di un’altra persona, il partannese Alfonso Passanante, anche lui implicato in fatti di mafia, poi non formalizzata.
Tutto ciò succedeva nel poco prima che D’Alì si candidasse per la prima volta al Senato, nel 1994, con Forza Italia. Proprio su questa circostanza il Pg vorrebbe risentire il pentito Ingrasciotta che in fase istruttoria raccontò ai Pm che per quella campagna elettorale la mafia non rimase in disparte sostenendo il senatore. I giudici hanno sempre sentenziato che non c’è alcuna prova del patto politico mafioso. Ma per Gozzo il patto esisteva già prima dell’ingresso in politica.
Dopo la sentenza d’appello con la doppia formula prescrizione-assoluzione, D’Alì, lo scorso anno, venne raggiunto dalla richiesta di una misura di prevenzione, l’obbligo di soggiorno. Il senatore D'Alì, è "socialmente pericoloso" per i pm della Dda palermitana che notificarono l'atto d'accusa il giorno dopo la sua ufficializzazione alla candidatura a sindaco di Trapani. In quell'occasione il senatore commentò la richiesta della misura di prevenzione definendosi un "perseguitato giudiziario, dopo due processi e due assoluzioni. Vogliono abbattermi politicamente".