Fede cristiana nella modernità di Carlo Molari in “Rocca” n. 5 del 1 marzo 2018
Più volte nei numeri scorsi di Rocca è apparso in questa rubrica il nome del gesuita fiammingo Roger Lenaers (Ostenda 1925), che attualmente risiede nella comunità di Lovanio dopo lunghi anni trascorsi nelle scuole superiori come insegnante di latino e di greco e come parroco in una diocesi del Tirolo. Nella intervista già citata nel precedente numero di Rocca (Un gesuita contro il Dio onnipotente in Micromega n. 8/2017, pp. 141- 154) egli indica in modo radicale tre tappe che il cristianesimo dovrebbe percorrere per avere un futuro. Dovrebbe abbandonare la gerarchia sacra, modificare il carattere religioso dei suoi riti, e annullare i suoi dogmi (ivi, pp. 148-149). In una parola sintetica è convinto che il cristianesimo avrà un futuro «solo se smetterà di coltivare la dimensione religiosa che l’ha penetrato assumendo come principio di base quello dell’autonomia e abbandonando una serie di elementi» (ivi, p. 148). Quanto alla dottrina teologica Lenaers pensa che occorre modificare l’immagine tradizionale di Dio per introdurre l’evoluzione e soprattutto l’Amore: «creare significa in primo luogo esprimere se stessi, rivelare ciò che è nascosto, ciò che vive nella profondità di chi crea. In questo senso la macchina può produrre, non può creare ». Per cui conclude: «il cosmo non è il prodotto del Creatore, ma la sua progressiva autoespressione. Ed ecco che appare l’evoluzione, che è la continua e sempre crescente apparizione del Mistero. Che il cosmo sia così ricco, bello, meraviglioso è perciò un’ovvietà» (ivi, p. 152).
Credo che dobbiamo distinguere chiaramente tra il problema di Dio e l’azione di Gesù nella storia. Non ci sono difficoltà ad ammettere la necessità di cambiamenti profondi. Oggi nella Chiesa questa consapevolezza è molto diffusa e vari gruppi di fedeli hanno affrontato il problema. L’immagine di Dio sarà sempre provvisoria. formule cristologiche Fin qui la sua riflessione ha una certa legittimità ma quando affronta il tema cristologico mostra una discutibile insufficienza. Egli utilizza il nome Gesù per descrivere tutte le attività del Verbo incarnato e non chiarisce affatto la «comunicazione degli idiomi». Per cui non è in grado di spiegare il cammino dogmatico della cristologia. Osserva: «mi si rimprovera di non parlare di Gesù come di ‘Dio’. Ma se il cristianesimo non è pensabile senza la figura di Gesù, lo è certamente senza la sua divinizzazione, come dimostra il periodo che va dall’anno 40 al 100. E quando infine Gesù è stato divinizzato, ne sono derivate complicazioni senza fine, e nuovi concili e condanne. Per più di cinquant’anni dopo la sua morte, dunque, i fedeli hanno venerato Gesù come pieno di Dio, come espressione della vicinanza di Dio, come sublime rivelazione di Dio, ma non come Dio. Siamo chiamati a fare la stessa cosa. O forse pensiamo che definendolo ‘Dio’ saremo più vicini a lui, che saremo migliori cristiani? Possiamo confessare che Gesù è, al tempo stesso, umano e divino, ma senza capirne il senso; perché umano significa conoscenza limitata, potenza limitata, mentre divino significa conoscenza illimitata, potenza illimitata, bontà illimitata. [tradotta] Come tali condizioni possono coesistere nella stessa persona?» (ivi p. 147).
Su questo tema alla fine del 2017 è stata tradotta in italiano una ultima sua opera: Gesù di Nazaret. Uomo come noi? (Gabrielli editori, S. Pietro in Cariano, Verona 2017), scritta sotto lo stimolo del recente volume dello studioso americano di origine iraniana e di fede islamica Reza Aslan. Questo studioso di storia delle religioni ha scritto un libro su Gesù intitolato, Gesù il ribelle. Vita di un uomo nella Palestina dell’anno zero (Rizzoli, Milano 2013) Zelota: La vita e il tempo di Gesù di Nazareth, nel quale presenta Gesù come rivoluzionario. Lenaers vi dedica l’ultimo capitolo, il settimo: Considerazioni Conclusive (pp. 127- 140). Ma Lenaers lo tiene sempre presente cercando di liberare la figura di Gesù di tutte le componenti divine. «Al termine di questo capitolo possiamo dunque già offrire una provvisoria risposta alla domanda formulata dal titolo del libro: Gesù di Nazaret, un uomo come noi? La risposta è: sì. Checché ne dica la solenne professione di fede niceno costantinopolitana, egli non è un Dio-uomo mitologico, un alieno extracosmico disceso tra noi» (ivi, p. 60). Lenaers sembra evitare ogni sforzo per chiarire il problema. Non spiega il significato del termine ‘persona’ e gli equivoci soggiacenti. Non insiste sulla preghiera personale di Gesù, da cui appare chiaramente la sua dipendenza da Dio. Colpisce l’assenza completa di ogni chiarimento e quasi il gusto di mettere in primo piano le difficoltà. Il cammino di fede di Gesù non è richiamato mai. «Gesù non è cittadino di un altro mondo, un alieno venuto ad abitare tra noi per un po’, un taumaturgo o un mago onnisciente e onnipotente, un Dio in sembianze umane, disceso dal cielo per noi con una duplice coscienza, divina e umana mentre noi dobbiamo accontentarci di una sola, e pure limitata, il Figlio ‘unigenito’ di Dio. È un uomo come noi, con gli stessi bisogni, gli stessi desideri e le stesse reazioni che abbiamo noi... Tutto molto umano » (ivi, p. 135). Quando si chiede «Ma lui come vedeva se stesso?» risponde: «In realtà di risposte non ce ne sono. Quello che lasciano pensare le sue parole a riguardo è confuso e contradditorio. È proprio a questa convinzione che sono giunti centinaia di studi critici compiuti dall’illuminismo in poi. Ciò che ha davvero detto e che cosa intendeva nel dirlo, è ancora avvolto nella nebbia » (ivi, p. 136).
Conclude: «Ciò che possiamo dire è che Gesù non ha mai pensato di essere il Figlio unigenito di Dio, di essere Dio in forma umana. Né lo pensava la cerchia dei suoi discepoli. Solo molto più tardi ha cominciato a pensarlo la Chiesa. ‘Figlio di Dio’, per lui, non aveva altro significato del puramente monoteistico Antico Testamento » (pp. 136-137). Lenaers stesso però ammette «È sconcertante anche il modo in cui parla del ‘figlio dell’uomo’ formula di cui fa spesso uso e che viene utilizzata soltanto da lui. Qui la contraddizione è massima» (ivi, p. 137). «Pensava forse di essere il Figlio dell’uomo celeste di cui parla Dan 7,13-14?... O si vedeva, piuttosto, come il servo sofferente di Dio di Is 53, convinto che sarebbe presto stato giustiziato, e che ciò era anzi parte della sua missione?». Conclude semplicemente: «Siamo di fronte a un groviglio insolubile» (p. 137). Da parte sua suggerisce una soluzione: «forse la Chiesa primitiva ha messo in bocca a Gesù una parte delle proprie convinzioni, espressione della sua fede in lui, mescolata a parole autentiche di Gesù, purtroppo ormai prive del contesto originario, e Marco, con grande riverenza, ci ha tramandato ogni cosa senza tener conto delle contraddizioni che inevitabilmente sorgono con questo modo di procedere» (ivi, pp. 137- 138). In ogni caso la conclusione lascia intravvedere un di più. Lenaers si interroga e lascia aperta la risposta della fede. «Gesù di Nazaret è forse solamente uno dei tanti, anziché – come recita l’inno della Lettera ai Colossesi (1,15-20) – colui che ‘è prima di tutte le cose’, nel quale ‘tutte sussistono’, poiché ‘tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui’? Forse che sbaglia Pietro quando in Atti 4,12 dice ai capi dei Giudei: ‘Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che saremo salvati’?» (ivi, p. 139). Con una certa facilità ermeneutica Lenaers afferma: «Già il Vaticano II ha relativizzato l’esclusività del cristianesimo come via di salvezza, dando espressione alla convinzione, propria della Chiesa di oggi, che tutte le fedi, ognuna a suo modo, siano vie di salvezza, pur non tutte nella stessa misura. Ma anche il Vaticano II resta fedele alla certezza di fede della tradizione: Gesù è ineguagliabile via di salvezza, una via che, se percorsa, garantisce di guadagnare tutto» (ivi, pp. 139-140). Lenaers riconosce che questa «è una credenza ovviamente indimostrabile», ma aggiunge che «se ne possono portare argomenti a favore, paragonando ad esempio la forza umanizzatrice della fede nel Gesù Messia a quella emanata da altre credenze... Oppure si può enfatizzare l’armonia tra ispirazione e razionalità che caratterizza questa fede, sconosciuta a molte altre religioni» (ivi, p. 140). Ragionevole perciò la decisione dei fedeli che con Pietro dicono «da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna» (Gv 6, 68). Confessione che chiude anche il libro del gesuita (p. 140).