Stando all’ultimo sondaggio di Piepoli, quasi un italiano su tre (il 27%) vorrebbe un governo M5s-Lega con Di Maio premier e Salvini suo vice, dice La Stampa oggi in edicola.
Salvini, ospite di Porta a porta, ha detto: «Non puoi andare al governo dicendo: “O io o nessuno”. E se Di Maio dicesse davvero “o io premier o salta tutto”, questo non è il modo di agire. Se dice così sbaglia, perché ad oggi è nessuno». Poi ha detto: «Io sono pronto, c’è una squadra pronta. Ma non c’è un pacchetto prendere o lasciare, e il programma si può arricchire e discutere. Ma se si dice “dopo Salvini il diluvio”, no». Poi ha ancora detto: «Sono pronto a far saltare tutto anche se si dice “Forza Italia fuori dall’accordo”. Io parto dal centrodestra, abbiamo preso i voti insieme e se Di Maio mi chiede di lasciar fuori Forza Italia, lo saluto. Arrivederci». Intervistato da Cremonesi sul CdS, ha aggiunto: «A oggi, c’è il 50 per cento di probabilità di tornare al voto. Non è quello per cui io lavoro e non faccio di certo il calcolo che nelle urne incasserei di più. Ma si sappia che se mi rendessi conto che non c’è una via di uscita, che nessuno è disposto a fare passi indietro, bisognerebbe tornare a chiedere agli italiani».
Di Maio ha replicato a Salvini in serata dal Blog delle stelle. Punto primo: «Il premier deve essere espressione della volontà popolare: il 17 per cento degli italiani ha votato per Salvini premier, il 14 Tajani, il 4 Meloni, ma oltre il 32 per cento ha votato M5s e il sottoscritto come premier». Punto secondo, «non mi impunto per questione personale, è una questione di credibilità della democrazia, se qualche leader politico ha intenzione di tornare al passato creando governi istituzionali tecnici, di scopo lo dica davanti al popolo italiano». Punto terzo, sull’elezione di Fico alla presidenza della Camera, «sono mancati 60 voti di Forza Italia». È l’accusa che dal Movimento muovono da sabato: i berlusconiani avrebbero tradito il patto sulle presidenze, impossibile fare accordi di governo con loro.
Il governo Gentiloni non presenterà in Parlamento il Def, il documento che traccia le politiche economiche dei prossimi tre anni. Il compito spetterà al nuovo esecutivo, non oltre i primi giorni di maggio. Bruxelles non si opporrà allo slittamento, anche perché i conti italiani sono a posto (crescita all’1,5% e rapporto deficit-Pil all’1,9).
Ieri si sono eletti i capigruppo di camera e senato. Per il Pd Delrio alla camera e Marcucci al senato. Marcucci era il nome indicato da Renzi. Ma Delrio no (l’ex premier voleva Guerini). Il reggente Maurizio Martina ha evitato di far votare, ha proposto i due nomi e li ha fatti approvare per acclamazione. Segno che la conta era pericolosa, che la conta avrebbe potuto far capire che il Pd, per l’ennesima volta, è spaccato e che Renzi non comanda più come prima. Tutto liscio, invece, sul lato Forza Italia, l’altro partito in fibrillazione. Berlusconi voleva, come capigruppo, la Gelmini alla camera e la Bernini al senato. E sono state elette tutt’e due.