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08/04/2018 06:00:00

Mafia a Marsala, confermate le condanne in Cassazione per il processo "Witness"

La Cassazione ha confermato la sentenza cui, lo scorso 13 novembre, la Corte d’appello di Palermo aveva, a sua volta, confermato le condanne inflitte, l’8 giugno 2016, dal Tribunale di Marsala a tre dei quattro arrestati nell’operazione antimafia dei carabinieri “The Witness”, del 9 marzo 2015.

Gli imputati condannati sono Antonino Bonafede, 82 anni, pastore e vecchio “uomo d’onore”, che secondo i magistrati della Dda aveva “ereditato” il bastone del comando in seno alla famiglia mafiosa di Marsala dal figlio Natale, in carcere dal gennaio 2003 con una condanna definitiva all’ergastolo, Vincenzo Giappone, di 55, anch’egli pastore, e Martino Pipitone, 67 anni, ex impiegato di banca in pensione, che in passato ha già scontato una condanna a 6 anni per mafia. Quest’ultimo, però, era stato assolto dal Tribunale marsalese dall’accusa di mafiosa, seppur condannato a due anni di reclusione per intestazione fittizia di una società ad altra persona “per evitare eventuale confisca da parte dello Stato”.

La pena più severa, 16 anni di carcere, il Tribunale l’aveva inflitta, invece, ad Antonino Bonafede, pur escludendone il ruolo di vertice in seno alla locale famiglia mafiosa. E la Corte d’appello ha confermato. La pena per Bonafede è stata “complessiva”. Include, infatti, anche i 6 anni già scontati per una precedente condanna per mafia.

Confermata anche la condanna a 12 anni di carcere, sempre per mafia, per Vincenzo Giappone, che sarebbe stato il cassiere della “famiglia” e il “primo collaboratore” di Bonafede.

Per Bonafede e Giappone, il Tribunale marsalese decretò anche tre anni di libertà vigilata dopo l’uscita dal carcere. I due imputati sono stati, inoltre, condannati a risarcire con 5 mila euro l’associazione antiracket e antiusura “Paolo Borsellino”, costituitasi parte civile conl’avvocato Peppe Gandolfo. Giappone sarebbe stato il cassiere della “famiglia” e il “primo collaboratore” di Bonafede senior, che per la Dda avrebbe cercato di riorganizzare la locale cellula di Cosa Nostra. A difendere Bonafede è stato l’avvocato Paolo Paladino, mentre legali di Giappone sono stati Stefano Venuti e Federico Sala e di Pipitone, infine, Stefano Pellegrino e Vito Cimiotta.