E' ricercato da 25 anni. Un fantasma sparito dalla sua Castelvetrano, quando era ancora un rampollo di Cosa Nostra. Matteo Messina Denaro, l'ultimo super latitante della mafia siciliana, erede dei corleonesi, è braccato dalle procure di mezza Sicilia che indagano sui suoi fedelissimi.
Inchieste che negli anni a colpi di arresti, sequestri, e misure preventive hanno tolto al boss di Castelvetrano braccia e menti utili alla latitanza. Una latitanza durante la quale Messina Denaro ha toccato più parti del mondo, secondo hanno scoperto nel corso degli anni gli inquirenti. C'è chi lo vuole in Venezuela, chi lo ha avvistato a Roma, chi allo stadio di Palermo durante una partita di Serie A. C'è chi pensa che sia morto, e chi lo dà per molto malato. Poi c'è quella ipotesi del boss nascosto nella sua Sicilia, nella stessa condizione in cui venne trovato Bernardo Provenzano, in un casolare a mangiare ricotta e scrivere pizzini.
L'ultima indagine antimafia, Anno Zero, che ha portato in cella 21 persone ritenute vicine al boss, mette un'altra bandierina nella mappa della latitanza del boss. La Calabria.
Matteo Messina Denaro si sarebbe nascosto in Calabria, terra di ndrine e di mafia arcaica radicata nel territorio, ma con fiuto per gli affari, ma con una salda tradizione. Come piace a Messina Denaro.
L'ipotesi emerge da una delle tante intercettazioni che compongono le accuse agli arrestati dell'ultima operazione antimafia.
E' il 3 settembre 2016. Nicola Accardo è ritenuto al vertice della famiglia mafiosa di Partanna. Parla con Antonino Triolo, considerato membro di spicco della famiglia di Castelvetrano. Triolo tra le altre cose è accusato di per avere curato gli interessi economici della famiglia Messina Denaro “ponendosi reiteratamente e in modo duraturo, continuativo e stabile a disposizione del reggente Gaspare Como, svolgendo un decisivo ruolo di collegamento tra le diverse articolazioni territoriali di Cosa nostra trapanese, facendo in particolare da tramite fra Gaspare Como (cognato del superlatitante, ndr) e Nicola Accardo, al vertice della famiglia mafiosa di Partanna, partecipando a riunioni in cui si discutevano questioni di interesse dell’associazione mafiosa e del contenuto della riservata catena di comunicazione epistolare attraverso cui Messina Denaro Matteo dirige l’intera associazione mafiosa Cosa nostra”.
I due vengono intercettati, chiacchierano su Matteo Messina Denaro. Sui suoi spostamenti, gli incontri con altri affiliati, i pizzini. Su uno di questi si sarebbero confrontati in particolare i due. “Hai scritto tu?” chiede Triolo. “Glielo ho fatto sapere...il fatto... inc. ...Matteo”, risponde Accardo. Poi sempre il capomafia di Partanna: “lascia perdere...ascolta lui … qua non gli ha detto che sta qua … inc. …dice che era in Calabria ed è tornato …”
Una chiacchierata breve che farebbe pensare agli inquirenti che il boss latitante abbia fatto la spola tra la Sicilia e la Calabria.
Un'altra caccia all'uomo era partita a Castelvetrano, non con poliziotti e carabinieri in cerca di “U siccu”. Ma proprio gli uomini della famiglia mafiosa erano in cerca di chi, incoscientemente o per sfida, aveva rubato in casa di Rosalia Messina Denaro, sorella di Matteo. Fu proprio Gaspare Como, cognato del capomafia, ad incaricare Vittorio Signorello e Calogero Guarino di scoprire l'autore del furto avvenuto la notte tra il 5 e il 6 gennaio 2017. Il tutto, ovviamente, venne intercettato dai Ros. Secondo le “indagini” interne a cosa nostra a compiere il furto furono gli operai del rigattiere che qualche giorno prima fece un trasloco dalla casa di campagna a quella di città della sorella del boss. Un furto imperdonabile, come quello di diverse nespole nei terreni sempre di Rosalia Messina Denaro. Anche qui, partì la caccia al mezzo usato per caricare la frutta dai ladri di nespole.