Come abbiamo raccontato ieri su Tp24.it, il gip di Firenze, su richiesta della Dda fiorentina, ha archiviato l’indagine per riciclaggio a carico dell'imprenditore di Trapani Andrea Bulgarella, e eliminato ogni aggravante relativa al metodo e alla finalità mafiosa.
La vicenda, parte a ottobre 2015: Bulgarella, originario di Trapani ma trapiantato da anni a Pisa, viene raggiunto da un provvedimento di sequestro di alcuni documenti.
La Dda, in base a indagini del Ros, sospettava che la sua attività avesse all’origine “il riciclaggio di denaro di provenienza mafiosa e in particolare del clan che fa capo a Matteo Messina Denaro“.
Per Bulgarella e altri imputati, cade in dettaglio l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa e all’appropriazione indebita e l’aggravante dell’art.7 dl 152/91 per l’agevolazione di organizzazioni mafiose. Uno dei legali di Bulgarella, l’avvocato Nino Caleca che lo ha difeso insieme a Vincenzo Maria Giacona, sostiene poi che il provvedimento del gip è “nettissimo”: scrive che “non ci sono prove che attestino flussi di denaro o altre utilità di provenienza illecita reimmesse in attività economiche del Bulgarella”. Secondo la nota, infine, l’indagine “nasce da elementi poco consistenti, se non irrilevanti, da ricostruzioni inesatte, da sospetti e calunnie di noti imprenditori mafiosi (oggi diventati falsi “collaboratori di giustizia”), che però ha creato un grave danno di immagine a tutta l’attività del gruppo, dato che l’inchiesta ha avuto una grande eco sui giornali e le tv”.
Per difendersi dalle accuse e per rilanciare su altre denunce, Andrea Bulgarella ha pubblicato il libro "La partita truccata", scritto a quattro mani con Giacomo Di Girolamo e pubblicato da Rubbettino. Pubblichiamo qui un estratto del libro, il paragrafo "Sceneggiature", dove Bulgarella racconta e affronta alcune delle contestazioni che gli venivano mosse.
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Come vi sentite? Dico a voi, che fate il mio nome, sapendo che io non centro nulla, giusto per infangare, per alzare un prezzo, per darvi un tono.
Come vi sentite?
A volte lo sapete che state dicendo una bugia.
A volte invece sono certi Pm o certi investigatori che vi pregano con gli occhi: fate il nome di Bulgarella, fate il nome di Bulgarella.
E voi, lo fate.
E così, la sceneggiatura riesce.
Il mio nome in certi ambienti giudiziari è come quello di Matteo Messina Denaro, il capo di Cosa nostra che lo Stato cerca senza trovarlo dal 1993. Ecco, basta che un pentito faccia il nome di Matteo Messina Denaro, e anche se dice una corbelleria, diventa importante, credibile, autorevole.
Con me accade quasi la stessa cosa: nelle accuse a mio carico non c’è uno tra i collaboratori di giustizia che su di me racconti cose certe. C’è solo “sentito dire”. Aria fritta. Affermazioni vaghe e generiche, mai circostanziate nè precise, sfornite di qualsiasi riscontro. E intanto su quell’aria fritta hanno tentato di trascinarmi nel baratro. Io ho resistito, perché la mafia la conosco, e conosco ancora meglio l’antimafia.
A proposito, signori pentiti: è inutile che accostate il mio nome alla famiglia Messina Denaro. Non lo conosco, questo Matteo che da un quarto di secolo si prende gioco dello Stato con la sua invisibilità. Non ho mai lavorato nella sua zona, il Belice.
Non ho mai chiesto favori nè alla mafia né ad alcun comitato d’affari, e la prova sta in tutto quello che ho dovuto subire per realizzare i miei lavori, negli attentati che mi hanno fatto.
Come possono gli uomini delle istituzioni, credere a voi, mafiosi, e non a me?
C’è chi come Angelo Siino, il “ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra” dice di avermi conosciuto personalmente. Ma si sbaglia, sono altri imprenditori che lui ha conosciuto, quelli con i quali, si sono spartiti gli appalti in Sicilia occidentale. Imprenditori del nord, soprattutto, cooperative rosse, che poi subappaltavano i lavori alle imprese mafiose. Io ero fuori da tutto questo. Denunciavo e non venivo ascoltato.
Quando la vostra fantasia non basta, signori che mi infangate, c’è il Pm che vi interroga a darvi una mano. Come nel caso di quell’animale di Giovanni Brusca, lo “scannacristiani”, cento omicidi alle spalle. Viene sentito solo nel 2014, e lui dice, testuale, così:
“Quindi, dopodichè, invece, negli altri cioè tipo quest’altro Bulgarella, credo che si chiamasse Calogero Bulgarella...Calogero, non vorrei sbagliarmi...eh...non sono sicuro che si chiama Calogero, che c’è un altro Bulgarella che si mette a disposizione…”
Nel romanzo criminale del quale mi rendete protagonista, uno come Brusca non può mancare, anche se parla di me a distanza di 20 anni, anche se parla di “un Bulgarella”, e che lui ricorda chiamarsi “Calogero”.
Ma il caso di Siino è ancora più eclatante, perché, analizzato in filigrana, ci permette di capire come certe sceneggiature vengono costruite.
Siino viene interrogato il 14 Aprile 2000. Scrivono gli investigatori che - cito testualmente - Sino riferisce che: “sia il Bulgarella che il cognato Poma avevano creato problemi all’interno del sodalizio mafioso perché non sempre obbedivano a Virga Vincenzo e che addirittura li volevano ammazzare. Ed era stato proprio lui a calmare le acque dicendo a Virga che avrebbe risolto i problemi”.
Virga mi vuole ammazzare. Lo dice Siino, nel 2000.
Virga in quell’anno è ancora a piede libero, verrà arrestato solo un anno più tardi.
Notazione personale: perché nessuno mi ha avvisato, mi ha protetto, mi ha quanto meno informato, dopo quell’interrogatorio? Davvero la mia vita non vale niente?
Ma torniamo all’interrogatorio di Siino. In migliaia di pagine, quel 14 Aprile del 2000, parla di me solo en passant. Ecco il dialogo messo a verbale con il PM:
PM. “Dichiarazioni ne ha fatte su Andrea Bulgarella oppure…”
SIINO: “No, non ne ho fatte mai”.
PM: “E non siamo in grado di farne adesso, però mettiamo a verbale che c’è questo e poi ci riserviamo… Magari solo come titolo…”.
SIINO: “Come titolo erano in negativo, nei confronti di Bulgarella, c’era un tempo che gli volevano fare la pelle”.
PM: “Bulgarella Andrea?”
SIINO: “Bulgarella Andrea. Poi c’era un’altro cognato...come si chiama...”.
PM: “Poma?”
SIINO: “Peppe Poma…. Li volevano ammazzare tutti e due”.
PM: “Perché non rispondevano alle cose e poi era troppo altezzoso”.
Dunque, Siino interrogato nel 2000 dice che la mafia voleva ammazzare me e mio cognato perché non “rispondevamo” agli ordini e perché io ero troppo altezzoso. Leggendo queste poche battute immagino la faccia del Pm. Lui chiedeva di me immaginando chissà quali succulenti accordi, Siino gli dice il contrario: guardi che Bulgarella è “negativo”, perché “c’era un tempo che gli volevano fare la pelle”.
“Titoli” su di me il Pm non ne ha.
Ma già basta accostare il nome di Siino al mio perché la sceneggiatura, quasi per magia, venga scritta da sola.
14 anni dopo. E’ il 10 Febbraio 2014. A Siino viene chiesto di integrare le dichiarazioni su di me. 14 anni dopo. Gli investigatori stanno indagando, il “titolo” da solo non basta più. Siino improvvisamente ricorda di avermi conosciuto, e ricorda anche che i boss dicevano che “per me bisognava avere un occhio di riguardo”.
Fate attenzione. Fate come quel gioco. Trovate la differenza.
Angelo Siino, 2000: la mafia voleva morto Bulgarella.
Angelo Siino, 2014: la mafia aveva un occhio di riguardo per Bulgarella.
Ditemi che gioco è.
Perché io le regole non le so.
E’ una partita, comunque, truccata.